Mai come in questi giorni si parla di turismo, delle sue performances, delle presunte flessioni, degli extra rincari, della (sempre presunta) fuga degli italiani verso lidi più economici, all’estero. Sono quasi sempre discussioni – manco a dirlo – da spiaggia, basate su sentiti dire, su dati parcellizzati, e sull’incosciente sensazione che si tratti solo di cazzeggi, non di cosa seria. Dice bene Antonio Preiti, nella sua recentissima analisi su “La ricchezza dei Comuni turistici”: “La sottovalutazione costante del turismo ha due origini fondamentali: una psicologica e una tecnica. La prima agisce con un sillogismo: siccome il tempo del turismo è residuale nel nostro tempo, essendo subordinato al tempo di lavoro, allora non può che essere, esso stesso (e di conseguenza la sua economia) residuale. Se il tempo importante non è il tempo libero (su questo però i cambiamenti di prospettiva sono in rapido cambiamento, con capovolgimenti repentini nella gerarchia di valore da attribuire al tempo di lavoro e al tempo libero), allora neppure la sua economia è importante. Si tratta di una concezione vecchia che, ad esempio, solo chi ignora il peso economico dell’entertainment può sostenere, ma che tuttavia agisce ancora come un riflesso inconsapevole e automatico quando si guarda al turismo”.



“La seconda origine, quella tecnica, è dovuta alla circostanza che nella contabilità nazionale non esiste un settore turismo propriamente detto, ma sono computate nelle statistiche di settore solo la parte alberghi e ristorazione e quella relativa alle agenzie di viaggio. Non c’è perciò un calcolo omnicomprensivo che dia conto della dimensione economica generale che il fenomeno induce oltre questi tre settori”. Verissimo, ma sono moltissimi i studi di settore che indicano almeno nel 13% il valore di Pil prodotto dal comparto nella sua interezza, cioè nella travel & hospitality industry e nelle sue attività ancillari, almeno in quelle di più vicina prossimità, perché in realtà l’elenco potrebbe allungarsi a dismisura.



Tanto per dare un senso a tutto questo, vale la pena riportare alcuni dati sulla creazione di “ricchezza turistica”, calcolati proprio da Sociometrica di Preiti: a Roma il turismo genera oltre 8 miliardi, Milano poco meno di 4, Venezia 3,3, Firenze 2,7. Interessante anche il risultato per due grandi aggregazioni balneari (simili a vere città metropolitane): il sistema veneto (Jesolo, Caorle, Cavallino-Treporti e San Michele al Tagliamento) arriva a superare il dato milanese, così come il sistema romagnolo (Rimini, Riccione, Cesenatico e Cervia).

Dunque, è evidente: che non si tratta di cazzeggi, che il turismo è cosa seria, che la sua sottovalutazione (con conseguente disinteresse pubblico e cronica mancanza di concreti piani industriali strategici) non può che portare a una pericolosa deregulation, che lima la competitività dell’intero sistema anche attraverso le speculazioni su listini e prezzi attuate da pochi. Come accade ad esempio (secondo Demoskopika) almeno in cinque sistemi turistici regionali, dove si registrano incrementi dell’inflazione da servizi turistici superiori alla media: Lazio (+9,5%), Lombardia (9,2%), Toscana (9,1%), Molise (9,1%) e Campania (9%) con un aggravio di 1,6 miliardi, pari a oltre il 40% sulla quota complessiva della spesa turistica imputabile alla crescita dei prezzi.



Se si uniscono simili sperequazioni agli aumenti delle tasse di soggiorno, alle estremizzazioni climatiche inevitabilmente enfatizzate, al caro trasporti e all’inflazione in genere, che causa ridotte capacità di spesa, il quadro è completo, ma forse ancora inadatto a giustificare la presunta flessione agostana del turismo nazionale o le sbandierate fughe dei vacanzieri all’estero. La competitività gioca duro: la ministra albanese del Turismo, Mirela Kumbaro, si è affrettata a informare che “nei primi sei mesi del 2023 ci hanno già visitato 3,4 milioni di turisti stranieri, ovvero il 33% in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Sempre nei primi 6 mesi del 2023, l’Albania ha accolto oltre 310 mila visitatori italiani, il 57% in più rispetto allo stesso periodo di un anno fa”.

Il costo del lavoro in Albania è ben diverso da quello italiano, così come lo stile di vita e il tenore medio: facile intuire come dall’altra parte dell’Adriatico i prezzi possano essere inferiori, così come, però, i servizi in genere e i giacimenti artistici-culturali. Si ritorna quindi a parlare di competitività, di qualità, di marketing territoriale e nazionale. “Un Governo che spende soldi per campagne pubblicitarie non può essere muto e inerte sul crescendo di notizie di crollo di prenotazioni per prezzi ingiustificati dal Nord al Sud. I turisti italiani preferiscono l’estero e quelli stranieri denunciano sui social piccole e grandi truffe da pochi esercenti avidi e miopi che creano danni enormi di reputazione di a intere aree o categorie. Occorre che anche comuni e regioni non sottovalutino questi allarmi” ha detto Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della fondazione Univerde e docente alle lauree magistrali di Turismo di Milano Bicocca, Roma Tor Vergata e Napoli Federico II. “Serve un’educazione a un turismo responsabile e sostenibile, ma anche un’efficace attività di controllo a tutela dei turisti e di quella grande maggioranza di operatori corretti e professionali. E sui trasporti non è possibile che una stampante che prende fuoco blocchi l’aeroporto di Catania per settimane danneggiando tutto il turismo in Sicilia”

Sembra rispondergli Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, che dichiara di voler “fare dell’Italia il primo Paese in Europa per turismo entro i prossimi 10 anni. Il Governo intende focalizzarsi proprio sul settore per dare impulso all’economia della Penisola negli anni a venire. Lavoriamo per far crescere il settore del turismo e del terziario, con i provvedimenti che abbiamo messo in campo anche nell’ultimo decreto legge. Mi riferisco al provvedimento sui taxi e sul caro voli, ma anche ad altri che servono a stimolare l’economia italiana”. Ovviamente, bisogna credergli. Ma bisogna anche dire che non basta, che sono anni che si registrano le dichiarazioni dei vari Governi sull’importanza dell’industria del turismo, sulla sua valenza, sugli impegni da attuare per renderlo più strutturato e adeguato alle sfide. Gli stessi anni in cui il barista ha potuto aggiungere al conto i due euro per tagliare in due un tramezzino o il balneare portare lettino e ombrellone a tariffe da grand hotel. I biglietti da visita italiani, trasmissibili via social, alla fine restano questi.

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