Ieri, in buona parte del Nordest, è stata una domenica senz’auto (per molte città sarà invece domenica prossima), la prima del 2022 (saranno cinque in tutto, fino a maggio). Una giornata “ecologica”, stabilita sulla base degli alti livelli di inquinamento dell’aria, un problema che ovviamente riguarda la salvaguardia del benessere di tutti.
Ieri, però, la giornata senz’auto è coincisa con uno dei punti più bassi della socialità urbana, che mese dopo mese in due anni si è sdilinquita in paure, diffidenze, prudenze, apatie. Una recente corrispondenza dalle zone di movida di Roma e Milano ha dato conto di un “effetto day after”, quasi la bomba Covid abbia convinto tutti nei rifugi, nelle case: bar deserti, dehors con plateatici regalati dai Comuni ma senza clienti, cinema semivuoti, tanti negozi con serrande abbassate, alberghi o chiusi o con una stanza occupata su tre.
Le strade del centro, liberate del popolo dell’aperitivo, stanno diventando il set di scontro tra bande di minorenni, che dalle banlieue di casa nostra si trasferiscono nelle zone più famose e solitamente più frequentate ma improvvisamente diventate disponibili per le risse, le prove provate di esistere per centinaia di giovani senza altre prospettive di futuri possibili. Una domenica senz’auto e senza gente, in un’anticamera di depressione collettiva che avvilisce chi sta cercando a fatica una scala per risalire. Una domenica con le poche persone in giro impegnate ormai come sempre a parlare di contagi, di quarantene e isolamento, mentre una grossa fetta di impresa fa i conti con i mancati guadagni e il caro-energia che continua a crescere.
Il ministro al Turismo, Massimo Garavaglia, accusa “una comunicazione ossessiva, tutta italiana” su Covid e pandemia, che sarebbe una delle cause dell’attuale fase depressiva, una sorta di danno collaterale di un long-Covid sociale. “Ci stiamo sparando sui piedi, ci stiamo danneggiando oltremisura”, ha aggiunto il ministro in un’intervista, accennando alla possibilità di un prossimo allentamento delle restrizioni imposte in Italia. Come il divieto d’ingresso, che scatterà l’1 febbraio, per i turisti stranieri in possesso di un Green pass rilasciato oltre i sei mesi precedenti, ancora valido a casa loro (vale per 9 mesi), ma non più in Italia (dove vale solo per sei). “Abbiamo chiesto di intervenire alla Conferenza delle Regioni, al Premier Draghi e al ministro Speranza – ha detto l’assessore trentino al Turismo, Roberto Failoni -. Le norme che entreranno in vigore dal primo febbraio mettono a rischio l’arrivo di 150.000 turisti solo dalla Polonia, per non parlare della Repubblica Ceca. Chiediamo di intervenire sui mercati stranieri e non perdere un’importante quota di turisti, quota che non è sostituibile con il turismo di prossimità”.
Va detto che oltre al nostro, anche altri Paesi hanno rivisto la durata della validità del Green pass, come ad esempio Francia e Monaco, che l’hanno portata a sette mesi, considerando il tasso di contagiosità delle nuove varianti del virus e l’efficacia testata delle coperture vaccinali. Ma va anche sottolineata la scomparsa di fatto della dicitura “europeo” dal Green pass, visto che, come quasi sempre, si sta procedendo in ordine sparso, generando sperequazioni come quella che sta allarmando ancora una volta il mondo del turismo italiano. Tra le tante cabine di regia che si inventano ogni giorno, è chiaro insomma che non ne esiste una europea vera per la sanità, visto che ognuno pensa sempre di saperne di più e di essere l’unico a scegliere per il meglio, non considerando che quanto si fa oltre le Alpi o i mari nostri finisce inevitabilmente per incidere anche sulle nostre vite.
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