Il baratro in cui è sprofondata in meno di un anno l’industria del turismo è stato certificato l’altro giorno alla Camera, durante l’audizione sul Recovery Plan davanti alla decima Commissione Attività produttive, commercio e turismo. “Il turismo, e il settore alberghiero in particolare, sono ancora fermi – ha detto Maria Carmela Colaiacovo, vicepresidente di Confindustria Alberghi -. Le presenze sono più che dimezzate rispetto all’anno precedente, -56%, addirittura -72% per quanto riguarda le presenze estere. Fatturati a -80%. Molte strutture sono chiuse interrottamente fin da marzo scorso, anche la montagna ha dovuto sperimentare la chiusura di tutte le attività. Le prospettive per i prossimi mesi sono ancora molto difficili. La prima parte dell’anno è sostanzialmente già persa, mentre per i successivi sei mesi la domanda sarà debole e discontinua, ancora caratterizzata dall’assenza del turismo internazionale. I dati elaborati da Enit stimano che per tornare al livello pre-crisi il turismo in Italia dovrà attendere il 2023. Per questo non possiamo nascondere lo sconcerto dinanzi alle previsioni del piano nazionale di ripresa e resilienza che fissa a soli 8 miliardi le risorse per turismo e cultura, due assi portanti dell’economia del Paese a cui insieme sono riservati poco più del 2,5% delle risorse del piano. Il solo turismo vale circa il 13% del Pil e il 14,9% in termini di occupazione”.



Non si tratta però solo di risorse, ma anche di volontà e progettualità. “Oltre agli aiuti emergenziali e indispensabili – ha aggiunto Colaiacovo – è necessaria una strategia di medio lungo periodo che accompagni le imprese a salvaguardia dell’intero settore. Nei prossimi mesi le aziende sono chiamate ad un difficile equilibrio tra sopravvivenza e capacità di investimento per tornare sul mercato e resistere ad una concorrenza internazionale sempre più serrata. Abbiamo bisogno di una strategia e di una visione organica per il rilancio del settore che ci saremmo attesi di vedere proprio nel piano nazionale di ripresa e resilienza. Digitalizzazione e innovazione, transizione verde e coesione sociale trovano pienamente spazio e coerenza in un fenomeno come il turismo che cresce insieme al territorio e al contesto culturale e sociale che lo circonda”.



E poi gli strumenti finanziari da implementare. “È necessario un credito fiscale rinforzato, analogo a quello previsto dal superbonus al 110%: una misura robusta, caratterizzata da un credito immediatamente cedibile che permetta alle imprese del settore di operare in questa fase di scarsa o nulla liquidità, investendo per farsi trovare pronti alla ripartenza con una aumentata capacità competitiva delle imprese e del paese. Un intervento importante per il settore alberghiero, ma di grandissima rilevanza anche per le altre filiere coinvolte in particolare edilizia, arredo, design, tutte eccellenze del made in Italy che possono vivere una forte accelerazione della ripresa sulla spinta della domanda che può arrivare dal settore alberghiero. Andrebbe inoltre colta l’occasione del Piano per allungare la durata dei finanziamenti garantiti (sia dal Fondo di Garanzia, sia da Sace) oltre i 6 anni, così da alleggerire la situazione debitoria delle imprese e consentire loro di programmare nuovi investimenti”.



All’audizione ha partecipato anche Marina Lalli, la presidente di Federturismo. “Stiamo seriamente rischiando la desertificazione del comparto – ha dichiarato -. Temiamo che per le PMI turistiche il tasso di mortalità possa raggiungere il 40%, con punte dell’80% per le agenzie di viaggio e i tour operator. In questo quadro di allarme profondo è evidente che guardiamo al piano di resilienza e rilancio con grandi speranze, seppur consapevoli che si tratta di progetti per investimenti di medio/lungo periodo che quindi non rientrano tra quelli urgenti per aiutare il settore, ma che rappresentano l’occasione tanto attesa per riformare tutto il comparto con formule di mercato più innovative e sostenibili. Anche se il Piano non è stato mai condiviso con le categorie interessate. Necessità improrogabile è ora quella di mettere a punto riforme strutturali su fisco, giustizia, mercato del lavoro e pubblica amministrazione che modernizzino davvero il Paese e soprattutto risolvere il tema della governance del Recovery Plan. Nel Piano vengono, inoltre, individuate due riforme di settore e tre linee di intervento che ci lasciano piuttosto perplessi.  Riguardo alla prima riforma, si legge di un Collegato Turismo alla Legge di Bilancio che, nel 2021, dovrebbe riordinare la normativa statale vigente. Ma considerato che la competenza in materia di turismo è tutta regionale, rimaniamo scettici sulla possibilità che si possa implementare una riforma del genere senza rivedere prima la governance del settore. La seconda riforma si riferisce all’adozione formale dei ‘criteri ambientali minimi’ ed è volta a ridurre l’impronta ecologica degli eventi culturali, mediante l’inclusione di criteri sociali ed ambientali nelle politiche per gli appalti pubblici. Sarebbe stato probabilmente più impattante per il settore un grande progetto di riconversione energetica per le imprese turistiche con finanziamenti a fondo perduto o con l’estensione dell’ecobonus al 110% anche alle PMI, con criteri di accesso e utilizzo effettivamente utili per le imprese. Riteniamo che, tra le altre tematiche, saranno dirimenti anche il potenziamento delle infrastrutture in chiave green, per rendere i territori ‘minori0 più accessibili e decongestionare quelli più affollati, e colmare il gap digitale quasi cronico del nostro Paese stimolando l’utilizzo delle nuove tecnologie nel turismo e nella cultura, la nascita di startup innovative e investendo nel capitale umano tramite una formazione delle professioni turistiche davvero all’altezza del futuro. Occorre anche sottolineare come continui a mancare quasi del tutto l’attenzione ai dati e al monitoraggio dei flussi sui quali è fondamentale investire perché non si possono usare dati superati”.

“Ed infine – ha concluso Lalli – è utile guardare anche alle impostazioni che stanno dando gli altri Paesi europei nell’elaborare i rispettivi Piani di ripresa, come ad esempio la Spagna, che su 140 miliardi complessivi del piano, ne ha riservato il 17,1% al turismo, cioè 24 miliardi”.