“Sono convinta che il turismo, superata questa grande crisi e non appena le condizioni lo consentiranno, ricomincerà in maniera esplosiva”. Lo sostiene un’addetta ai lavori, la professoressa Valentina Della Corte, ordinaria di Economia e Gestione delle imprese e coordinatrice del primo corso di laurea triennale in Italia a orientamento professionale in Hospitality Management dell’Università Federico II di Napoli.



Non sarà troppo ottimista, professoressa?
So bene che stiamo vivendo ancora momenti difficili e incerti, ma so anche che l’attitudine al viaggio non è scomparsa. Durante il lockdown il nostro ateneo ha varato un osservatorio, in collaborazione con l’Università del South Florida, proprio per verificare la percezione dei turisti di tutto il mondo nelle varie fasi dell’emergenza. Ne è emersa chiaramente la propensione ai viaggi, al turismo, certo con le necessarie garanzie di sicurezza, quelle regole che già le nostre imprese del settore hanno dimostrato di saper applicare la scorsa estate. E dunque appena possibile si ripartirà, ne sono certa; adesso si tratta solo di resistere.



Ma il turismo prossimo venturo, quello che dovrà gestire la ripartenza, come sarà?

Bisogna considerare che il turista oggi è più consapevole ed esigente, più attento alla sicurezza sanitaria, alla qualità. L’offerta ne dovrà tener conto, l’ospitalità dovrà saper affrontare le sfide.

Il corso di laurea che lei coordina considera anche queste istanze?

Noi prevedevamo già un duplice approccio: digitale ed esperienziale. Poi è arrivato il Covid, e queste strategie formative si sono ancor più rafforzate, in una stretta sinergia con un terzo asset, la sostenibilità, sempre in un continuo confronto con le imprese, molto attente al tema, spesso con progetti seri e strutturati. Senza trascurare la logica di competition. Con sette università italiane partecipiamo anche a un progetto del network Cueim focalizzato sul turismo sostenibile. Perché gli stimoli della competizione sono indubbiamente necessari, ma servono anche l’orchestrazione, la sinergia per mettere a profitto le singole competenze.



Parlando di competenze, quali sono quelle che il suo corso di laurea in Hospitality management vuole far crescere?

Il corso è nato grazie alla condivisione del progetto e all’entusiasmo del rettore dell’epoca (il 2017), Gaetano Manfredi (oggi ministro Miur, ndr), dopo un’attenta analisi del settore turismo, un asset chiave per il territorio campano. Abbiamo optato subito per una formula innovativa, con un terzo delle ore in azienda, due terzi in lingua inglese, per cinquanta studenti, un’intensa attività di didattica rovesciata, cioè con il tempo-scuola più produttivo e funzionale rispetto alle esigenze del mondo del lavoro, con più laboratori e materie d’insegnamento studiate insieme alle imprese. Il corso è incardinato nella facoltà di Economia, ma ha stretto accordi con quella di Agraria per quanto riguarda il food & beverage.

In Svizzera esistono corsi di laurea simili. In cosa si differenzia il vostro?

Il modello di sistema al quale risponde la scuola elvetica è quello delle catene internazionali. Qui invece ci concentriamo su approcci esperienziali, convinti come siamo che oggi servano, anche alle grandi catene, format personalizzati, quelli che garantiscano al cliente un’emozione, un ricordo. Puntiamo molto sulla cultura dei territori: abbiamo inserito nel programma di studio materie umanistiche, in grado di fornire agli studenti la conoscenza indispensabile per la promozione delle destinazioni. Evidentemente è questa la strada giusta, vista l’accoglienza ricevuta dalle imprese del settore, anche molto grandi, soddisfatte di un’alta formazione per i propri quadri che era sempre mancata.

Da dove arrivano i vostri iscritti, e con quali percorsi di studio?

Ne abbiamo ovviamente dal Sud, ma anche dal Centro-Nord, e alcuni dall’estero. Sono ragazzi che si sono diplomati alla scuola alberghiera o presso istituti professionali, ma la quota maggiore è costituita da liceali. A riprova che anche in Italia cresce l’attenzione e la considerazione per una formazione anche pratica, moderna, internazionale.

Eppure sui corsi di laurea professionalizzanti serpeggia ancora qualche dubbio…

Forse i dubbi li ha chi non li conosce. Si tratta di corsi dove l’impegno è molto serrato, dove la formazione in azienda non è il solito stage, ma un tirocinio vero e proprio, parte integrante del piano di studi: ci sono tutor del corso di laurea e tutor aziendali, proprio per garantire il controllo di entrambi gli aspetti di una formazione in linea con i tempi. Al contrario, in una triennale tradizionale i crediti conquistati in azienda sono quasi sempre considerati tempo sottratto allo studio. I nostri ragazzi, che pure attualmente seguono i corsi a distanza, dicono che qui hanno la percezione di stare in un campus privato, magari internazionale, vista l’efficienza e la serietà. E gli interessi che molti atenei ci dimostrano, dall’Italia ma anche da mezza Europa e oltre, ci riempiono d’orgoglio.

Però con le lauree professionalizzanti dopo tre anni ci si deve fermare, giusto?

Non è detto, può esserci la possibilità della successiva laurea magistrale, ma non è ancora un meccanismo automatico, è legato al numero dei crediti, alla disponibilità degli atenei. La verità è che c’è ancora strada da fare: i corsi di laurea professionalizzante sono stati varati per decreto solo nel 2018, e noi abbiamo dato vita al nostro un anno dopo. Bisognerà perfezionale il tutto. Ma già adesso, dopo i tre anni, i nostri laureati sono certi di un posto di lavoro in un’azienda.

Lei ha conseguito il suo dottorato di ricerca a Venezia. Proprio a Venezia si sta lavorando alla nascita della Scuola italiana di ospitalità. Pensa che sia una location adatta per un corso di laurea di questo tipo?

Venezia, ovviamente, è una grande meta turistica, conosciuta in tutto il mondo. Bisogna essere in grado di superare le logiche tradizionali dell’accademia per abbracciare iniziative valide. Noi a Napoli siamo nati grazie all’entusiasmo del rettore, e ovviamente il mio, ma anche sull’onda dell’aggregazione di persone convinte del progetto, capaci di rivoluzionare il loro modo di insegnare, di tenere lezioni in inglese e via dicendo. L’alta formazione prevede anche altre attività da sviluppare, salti di mentalità negli stessi atenei. Dopodiché si potrebbe anche ipotizzare un sistema virtuoso in cui corsi di questo tipo seguano specializzazioni diverse, per osmosi proficue e adatte alle diverse richieste dell’industria del turismo.

(Alberto Beggiolini)