Subito prima della pandemia, quando i trend erano ormai da qualche anno in salita, tutto faceva presagire uno sviluppo dell’industria turistica italiana senza soste. Si parlava di performances e di modelli, si parlava dei “campioni”, le élites del settore che avrebbero dovuto/potuto tracciare la strada, in un trascinamento generale verso l’alto, non necessariamente di gamma, ma certamente di qualità, per strutture e servizi.



Il Covid poi paralizzò tutto, facendo precipitare proprio il turismo nelle sabbie mobili delle incertezze del lockdown, con l’hospitality sospesa, gli addetti in cassa integrazione o abbandonati definitivamente, i fatturati volatilizzati e i bilanci che viravano al rosso. Oggi, con i risultati di una resilienza tanto potente quanto non del tutto prevista, il comparto rialza il periscopio e guarda l’orizzonte, dove però sui successi incombono nuove sfide, che insistono proprio su quel mancato trascinamento che era stato tracciato, ma che è stato bloccato negli anni di Covid. Tra i “campioni” del turismo italiano che erano stati indicati c’era anche il TH Group (presieduto da Graziano Debellini), leader della montagna leisure, insieme ad altri colossi nazionali del settore.



Che fine ha fatto quell’ipotesi di player-esempi, presidente?

Credo sia un problema. In realtà, oggi l’Italia sta perdendo asset importanti proprio tra i suoi “campioni”: ad esempio con Alpitour sta dando l’addio a un player importante, che sta per finire in mani straniere, perché non credo che possa farsi avanti un investitore italiano in grado di affrontare un impegno finanziario così oneroso. I competitori più prossimi magari nell’immediato si riterranno soddisfatti, ma in realtà il passaggio causerà una grave perdita per tutti: Alpitour da sempre è stato un riferimento, un modello d’impresa. I fondi di investimento si espandono ovunque, e investono somme per altri impensabili: è la loro mission, che oggi si vede amplificata ed estesa al turismo, diventato – forse come non mai prima – un settore di grandissimo interesse.



Il “campione” TH Group, però, tiene la barra dritta, vero?

Non so se siamo campioni o esempi, ma sì, noi andiamo avanti, con il sostegno convinto del nostro socio, Cassa depositi e prestiti, e dopo il ritorno a una fase di normalità post-pandemia adesso puntiamo a migliorare e ad ampliare i nostri bouquet, con nuove aperture, non solo al mare o in montagna, ma anche nelle grandi città d’arte, sia in Italia che all’estero.

Seguendo un modello d’impresa che può essere indicato e seguito?

Non devo dirlo io. Io so che TH da sempre opera un turismo eticamente attento, basato su valori che vanno oltre il business, mettendo l’ospite al centro del nostro agire. Abbiamo puntato sulla digitalizzazione, con l’innovazione dei processi, sulla sostenibilità, sul rispetto ambientale dei territori dove operiamo, e sulla qualità dei servizi, raggiunta attraverso un costante lavoro di formazione dei nostri collaboratori.

Formazione del personale, ma anche dei manager?

Certamente: c’è un bisogno assoluto di un salto di qualità anche, e forse soprattutto, per chi deve guidare e sostenere sviluppi e progetti ambiziosi. La verità è che l’Italia tutta potrebbe giovarsi di una nuova classe dirigente, magari anche più giovane, e sicuramente formata adeguatamente per vincere sfide e competitività. Proprio sulla formazione noi concentriamo i nostri sforzi, con le TH Academy semestrali con le quali riuniamo dirigenti e personale per gli aggiornamenti e il team building, e con la Scuola italiana di ospitalità, che abbiamo varato già tre anni fa a Venezia in collaborazione con Cdp e con l’Università Ca’ Foscari.

Sono impegni che portano risultati soddisfacenti?

Siamo diventati un’azienda di riferimento per l’offerta montagna. Adesso programmiamo l’aumento del nostro volume hospitality. Il vecchio piano industriale, che prendeva a riferimento il grande rimbalzo avvenuto subito dopo la pandemia, aveva previsto una salita più rapida, dimenticando però tutte le difficoltà che nelle due stagioni di stop, le più difficili della nostra storia, avevamo dovuto affrontare. Due anni di fatturati falcidiati, che convinsero tanti a tagliare i costi, indebolendo così il proprio business, che alla ripresa non s’è più fatto trovare pronto. Noi al contrario in quel periodo abbiamo programmato nuovi investimenti, e adesso siamo pronti e attrezzati per nuovi risultati e nuove aperture.

Il vostro programma a medio termine, dunque, cosa prevede?

Come dicevo, pensiamo a nuovi resort, sempre in gestione, nelle principali capitali europee. E stiamo portando avanti anche un progetto nel segmento luxury, oggi sempre più interessante. Nel frattempo, abbiamo appena aperto con Baobab il nostro primo hotel in Mar Rosso, a Marsa Alam, in una scelta coraggiosa, visto il momento complicato della regione. Ma crediamo molto nelle potenzialità di quei territori, tanto che stiamo valutando anche la possibilità di inaugurare una scuola di ospitalità in Egitto, perché senza formazione non può esserci qualità.

TH Group ha chiuso il 2023 con 187 milioni di euro di fatturato, il +37% sul 2022. E per il 2024?

Le nostre stime indicano 200 milioni, come ho detto anche al recentissimo secondo Summit Pambianco. Dovremmo anche raggiungere una buona marginalità, con un ebitda di 10 milioni di euro. Oggi contiamo 31 strutture in diverse località di mare, montagna (dove tra estate ed inverno superiamo i 50 milioni) e città d’arte, sia in Italia che all’estero. Continueremo a puntare sul nostro core business, la gestione delle strutture (anche quelle del TCI), e sui nostri TO, Markando (viaggi taylor made) e Baobab (TO generalista). L’impegno di TH è sempre concentrato su progetti di qualità: lo possiamo fare grazie a una squadra rodata, con dirigenti di alto profilo, tutti con la stessa passione che ci fece muovere i primi passi, molti, moltissimi anni fa. Adesso il nostro focus è sulle città d’arte, italiane ed europee. Grazie all’entrata di Cdp, fondamentale per noi sia per la parte immobiliare che per quella finanziaria, abbiamo creato una struttura aziendale solida, passando da una cultura familiare a un’organizzazione industriale.

(Alberto Beggiolini)

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