Sono i lavoratori a mancare o è la sperequazione retributiva a causarne i disincentivi e a spingerli verso le forme di assistenzialismo pubblico? Comunque sia, oggi l’economia è in netta ripresa, con le aziende che cercano addetti, ma continuano a mancare più di 230 mila operatori (nel secondo trimestre 2021, solo per industria e servizi) che rispondano ai profili richiesti. Insomma, la fase post-pandemica sta evidenziando un gap pericoloso tra ripresa e forza lavoro necessaria. Secondo un recente focus Censis-Confcooperative, “il sistema Italia si trova a pagare un conto di oltre 21 miliardi (l’1,2% del Pil) a causa del mancato incontro tra l’offerta e la domanda di lavoro: se le imprese fossero riuscite ad assumere tutto il personale di cui hanno bisogno, la crescita del Pil nel 2021 sarebbe salita dal 5,9% al 7,1%”. Avvilenti i dati Istat relativi al secondo trimestre di quest’anno: il tasso di posti vacanti supera nelle costruzioni è del 2,4%, nei servizi di informazione e comunicazione 2,1% e nelle attività artistiche, sportive e di intrattenimento 2,1%. Nell’ambito delle attività di alloggio e ristorazione il tasso raggiunge il 2,3% (+0,4 punti rispetto al primo trimestre).
Il problema è grave, e sostanzialmente riconducibile alla domanda iniziale: mancano i lavoratori o sono i lavori proposti a non essere accettabili, magari con orari e mansioni dilatate e retribuzioni indecorose, giustificate capziosamente con la scusa dei tempi di pandemia?
“Meno tasse e più stipendi” sostiene Graziano Debellini, Presidente del gruppo TH Resorts, che come tutti gli altri operatori del settore hotellerie ha dovuto affrontare un’estate complicata a volte proprio dalla rarefazione del personale. “Va detto che il mondo del turismo ha subìto un vero shock in seguito ai lockdown e alle chiusure degli hotel, che ha indotto nei lavoratori del settore un’enorme incertezza sul futuro. Dopo 15 mesi di blocco totale, le persone si sono messe a fare altro. La crisi del lavoro ha riguardato sia la fascia bassa, cioè gli operatori dei servizi di base come le cameriere e l’housekeeping, sia la fascia medio-alta, come alcune figure direzionali e gli chef, che notoriamente hanno un reddito importante”.
Si dice spesso che molti abbiano preferito lavori in nero pur di non rinunciare a reddito di cittadinanza, Naspi o cassa integrazione.
Il reddito di cittadinanza non è la ragione della crisi del lavoro, ma è una concausa. Questa istituzione ha aiutato molte persone in stato di povertà: non va abolito, ma modificato, ad esempio escludendo i giovani in cerca di lavoro, ripensando le politiche attive e i “navigator”.
Lei parla di “più stipendi”. Quindi parla anche di lavoratori sottopagati?
Credo occorra ripensare al modello retributivo e aumentare gli stipendi, nel rispetto dei contratti di lavoro nazionali. Noi, ad esempio, abbiamo più di 4.000 contratti e non paghiamo nessuno meno di 1.200 euro al mese. Nel settore turismo la marginalità è davvero bassa, e quindi tocca allo Stato intervenire, cambiando le tasse sul lavoro, correggendo quel cuneo fiscale che ci penalizza rispetto ad altri Paesi europei. Aggiungo anche che il mondo immobiliare dovrebbe diminuire gli affitti: per risultare sostenibili, non dovrebbero superare il 20% dei ricavi.
C’è anche il problema della carenza di figure professionali rispondenti ai profili richiesti.
È vero. Succede che molti lavoratori cerchino alternative al mondo del turismo per evitare il rischio della stagionalità, la non continuità di lavoro. È un problema che potrebbe essere ovviato con la formazione, che potrebbe eliminare le interruzioni stagionali e regalare una maggiore qualificazione. Bisogna ricostruire la bellezza di questo lavoro, anche quello di base, considerato ancora mortificante.
Però mancano sempre formazioni medio elevate, mancano le competenze Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Infatti, non sono sufficienti le scuole alberghiere: basti pensare che in Svizzera ci sono 11 università sul turismo e noi in Italia siamo appena riusciti a creare il primo corso di laurea in Hospitality, anche in inglese, con l’Università Ca’ Foscari Venezia. Sburocratizzando gli stage e i corsi di approfondimento, si potrebbero istituire piccoli master nel periodo in cui gli stagionali non lavorano, per riqualificare la professione, anche con le soft skill che nel turismo sono determinanti.
Ma non saranno proprio quelle nuove competenze ad aprire la porta a una digitalizzazione spinta, che alla fine potrebbe portare alla contrazione del fabbisogno del capitale umano?
La digitalizzazione non sostituirà il fattore umano: è tesa a semplificare i processi e ad aumentare il tempo per le relazioni. Tecnologia e automazione in alcune aeree, come quelle della manutenzione, dell’amministrazione e del commerciale, potrebbero portare a una riduzione di manualità, ma si tratta di aree residue per il turismo. Il cuore del settore è l’accoglienza, il saper accompagnare l’ospite e offrirgli servizi ed esperienze. Se i lavori manuali potrebbero ridursi in futuro, altri lavori si assistenza e accoglienza potrebbero nascere e perfezionarsi.
(Alberto Beggiolini)
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