Nello scorso articolo abbiamo lanciato una serie di proposte per vedere di risolvere l’annoso problema dell’immigrazione clandestina nel nostro Paese. Che prosegue ininterrottamente da circa 20 anni ed è gestita da mafie che rispondono al business più lucroso: quello degli esseri umani e il loro sfruttamento.
Abbiamo scritto di seguire l’esempio che l’America Latina ha adottato quasi cent’anni fa e che era risultato un successo: quello di un’organizzazione nella gestione dei flussi che si basi sulla reale domanda e la gestisca in maniera ordinata secondo principi logici e facilmente applicabili al giorno d’oggi, tanto più con gli strumenti informatici di cui disponiamo rispetto a tempo fa. In poche parole usare l’intelligenza (umana) e finirla una volta per tutte con lo sfruttamento politico-partitico e le accuse scellerate che abbiamo ascoltato in queste settimane seguenti l’ennesima strage di innocenti a Cutro.
Proponevamo inoltre l’utilizzazione dell’immenso bacino degli italici in giro per il mondo (circa 200 milioni di persone) di cui fa parte una bella fetta di circa 70 milioni che è costituita da discendenti di italiani all’estero, che forma il maggior flusso migratorio di sempre. È altresì ovvio che in tutto questo ragionamento non includiamo coloro che fuggono da guerre o da regimi dittatoriali, che hanno di diritto la nostra accoglienza, ma ci riferiamo alla migrazione economica.
Giovedì scorso, presso la Sala Matteotti della Camera dei deputati, si è tenuta la presentazione del libro “Scoprirsi italiani: i viaggi delle radici in Italia”, che costituisce lo studio sul fenomeno effettuato dai quattro autori (Marina Gabrieli, Riccardo Giummelli, Delfina Licata e Giuseppe Sommario).
Riunione interessante, nella quale i responsabili del progetto presso il Maeci lo hanno illustrato fin nei minimi particolari, descrivendo il lavoro di quattro anni che ha portato alla sua stesura per tentare di risolvere il problema dello spopolamento dei borghi (principalmente) che dura da molto tempo nella nostra Penisola.
In pratica si propone a chi è interessato un viaggio che, unito a un alloggiamento, permetterebbe a molti sia discendenti che amanti del nostro Paese di conoscere i luoghi preferiti o dai quali provengono spesso da più di tre generazioni. Per poi, nel caso decidessero di stabilirsi, offrire le migliori condizioni per il trasferimento di residenza e lavoro e alloggio nel posto prescelto.
Si tratta di una iniziativa francamente lodevole nelle sue intenzioni, ma non ben costruita: per questo la riunione ha lasciato molti dubbi circa la realizzazione di un progetto che al momento godrebbe di un investimento di circa 21 milioni, ma con una richiesta di poter decuplicare il finanziamento nei prossimi anni.
Il problema che è sorto dalle varie descrizioni effettuate e che, a parte un critico intervento del Coordinatore delle Consulte Regionali presso la Cgie (Conferenza generale italiani all’estero), Luigi Scaglione, ha ricevuto solo elogi da parte dei relatori, sindaci e autorità presenti (altri interventi non erano permessi) è di semplicissima descrizione.
Il problema non è solo la scarsa attrattiva del nostro Paese, ma la totale mancanza di strumenti per integrare coloro che vogliono venire in Italia. Manca la formazione professionale e linguistica per chi arriva, mancano strumenti per inserire determinate professionalità che arrivano per far incontrare la domanda con l’offerta, manca l’integrazione scolastica per i giovani e i ragazzi che le famiglie portano con sé, mancano dei decreti flussi specifici per le famiglie di origine italiana e manca una struttura all’estero che prepari coloro che vogliono venire in Italia e normative che favoriscano coloro che vogliono fare impresa in Italia. Mancano, insomma, tutti i meccanismi di integrazione.
Come già noto, l’Italia è il Paese più vecchio d’Europa e ovviamente quello con meno natalità: lo scorso anno abbiamo raggiunto il minor numero di nascite dal 1861, ergo la creazione del Regno d’Italia. Per cui abbiamo estremo bisogno di un’immigrazione che permetta di affrontare questa e altre problematiche che a breve saranno drammatiche.
La domanda che sorge spontanea è la seguente: più in là dell’amore per l’Italia e quello per le proprie radici, cosa dovrebbe indurre una persona a trasferirsi da noi, visto che il “prodotto Italia”, a parte le ovvie bellezze storiche e paesaggistiche nonché di “glamour”, non è poi così attraente? In poche parole: quanto può essere utile mettere in moto un fenomeno di presunto “inserimento” in una nazione che negli ultimi 15 anni ha (attraverso le su politiche) distrutto la migliore sanità pubblica, il suo sistema di istruzione (ergo la sua cultura) e soprattutto il mondo del lavoro, visto che continuiamo a essere l’unico Paese Ue a non aver applicato il salario minimo e da circa 30 anni deteniamo il record di diminuzione degli stipendi (la penultima nazione in questa classifica è la Spagna che però li ha aumentati del 15%)? E che molte di queste problematiche non aiutano di certo le famiglie ad avere figli, visto che al contrario di tanti altri Paesi non incentiviamo la cosa?
Insomma, creiamo un’auto e poi non ci sono strade da percorrere? Non sarebbe meglio, allo stesso tempo e pure in fretta, cercare di risolvere i “problemucci” sopra elencati in modo da creare il giusto appeal che possa, tra l’altro, pure favorire il ritorno dei 5 milioni di italiani che negli ultimi tempi sono fuggiti ed emigrati dal nostro Paese?
La domanda sorge logica anche perché l’italianità è un fattore importantissimo: ma basta aver vissuto un tempo fuori dai nostri confini (specie in Sudamerica, dove c’è la maggior concentrazione di discendenti di italiani) per capire quanto l’Italia, la sua cultura e la sua lingua, siano sconosciuti ai più e che l’unica cosa che importa a questi spesso lontanissimi discendenti è quella di avere nelle mani il passaporto, gentilmente concesso in base a un decreto Giolittiano di fine 800 sulla base di parentele lontanissime e abbondantemente pubblicizzato ogni qual volta si organizzano elezioni soprattutto da parte di sedicenti movimenti di italiani all’estero che hanno conquistato un grandissimo potere occupando molte istituzioni nostrane al di fuori dei nostri confini?
Per risolvere tutto ciò servirebbe una politica seria e basata sul bene comune, ma soprattutto attenta a quelle che sono le drammatiche problematiche nel nostro Paese e in grado di organizzare iniziative intelligenti ma soprattutto di poterle portare avanti con successo, scendendo da quell’orbita di Saturno piena di privilegi (uno Stato nello Stato come non si registra in Europa) e iniziando a svolgere il proprio dovere.
Se ciò non dovesse avvenire in tempi brevi, lo ripeto, con il progetto dei viaggi di ritorno avremo fatto nascere un qualcosa al servizio dei vari potentati politici e ai finanziamenti che verranno: sarebbe ora di muoversi, no?
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