Oggi il Vicepresidente del Consiglio, nonché ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, farà tappa a Buenos Aires in occasione della Fiera internazionale del Turismo per presentare ufficialmente il tanto discusso progetto chiamato “Turismo delle radici” che, creato circa due anni fa, sta coinvolgendo, attraverso una promozione fatta dalle nostre Rappresentanze (Ambasciate e Consolati) anche questa parte del mondo dalla quale proviene la maggior parte degli italiani o loro discendenti nel mondo. Si pensi solo che l’Argentina, attraverso un’immigrazione altamente organizzata, tra il 1915 e il 1953 ha accolto milioni di nostri connazionali e che la sua attuale popolazione (stimata in 42 milioni di abitanti) racchiuda quasi 20 in maggior parte di lontane origini italiane.



Nei nostri articoli abbiamo già affrontato questa iniziativa, criticandola per mille motivi, uno dei quali risiede nella mancata partecipazione di Associazioni di italiani nel mondo con sede in Italia. Ne abbiamo perciò parlato con il Presidente di una tra le più quotate, Daniele Marconcini.

Qual è il suo pensiero sul Turismo delle radici e perché molte associazioni di italiani nel mondo con sede in Italia lo criticano?



Il Turismo delle radici, così com’è stato pensato e portato avanti attraverso dei bandi dal ministero degli Esteri, non è assolutamente in grado di portare dei turisti in Italia. Il problema di fondo risiede nella mancanza di coordinamento con le Regioni, perché rivolgersi direttamente ai Comuni comporta delle grandi difficoltà dato che non tutti sono in grado di accogliere e promuovere questa iniziativa, specialmente quelli piccoli, in quanto la stragrande maggioranza non dispongono di uffici o organizzazione atti a svilupparlo. Quindi, è stato un grave errore non coinvolgere le Regioni, considerando che la loro competenza reale avrebbe potuto coordinare le Province e, a caduta, i Comuni stessi. Ma guardiamo alla realtà: Il Turismo delle radici, se ci si rivolge agli iscritti Aire residenti in Europa, non ha di certo bisogno né di bandi né di piattaforme. In Nord America troviamo un turismo super organizzato e finanziato anche perché la maggior parte di coloro che arrivano sono alla ricerca del paesello ma anche determinate condizioni per andarci, considerando che molti di loro come immigrati sono originari del Sud del nostro Paese e che quindi manca una logistica per accoglierli. Quest’ultima è legata ai mezzi di trasporto, specie le ferrovie, sulle quali noi contiamo perché spesso sono l’unico mezzo per raggiungere zone altrimenti isolate. Poi abbiamo un flusso proveniente dal Sudamerica che spesso nasconde invece un turismo delle cittadinanze , soprattutto in Argentina dove, ogni volta che si profila una crisi regionale, si assiste a un grosso esodo verso l’Italia per ottenere la cittadinanza.



Quindi questa iniziativa è sbagliata dal suo nascere?

Non comporta nessun vantaggio perché non è un turismo in cui, chi viene in Italia, mette in campo un vero collegamento con il Paese basato su acquisto di immobili e sviluppo di attività economiche creando condizioni culturali e sociali di collegamento con l’Italia stessa. È solo un turismo nel quale chi viene in Italia, specie se collegato al fenomeno delle cittadinanze facili, dopo poco tempo se ne va.

Cosa bisognerebbe fare per attirare i discendenti dei nostri connazionali emigrati nel secolo scorso?

Bisognerebbe fare in modo che ai discendenti dei nostri connazionali vengano messe a supporto delle agenzie di formazione professionale e delle modalità che li attirino vivamente nel compiere il ritorno alle origini. Noi abbiamo svolto un grosso lavoro, con la legge sui Lombardi nel mondo, per fare in modo di creare una vera integrazione: ma questo dovrebbe comportare l’abbandono di leggi ghetto ristrette alla sola immigrazione, includendo un’attività che riguarda tutti gli assessorati, le imprese, il sociale e soprattutto dovremo fare in modo di valorizzare chi in Italia c’è già, visto che decine di migliaia di oriundi arrivati in Italia si sono poi stabiliti. Si potrebbe integrare la loro esperienza professionale anche per occupare quei luoghi di lavoro che attualmente, anche di alto livello, soffrono di mancanza di personale: pensiamo alla sanità, ma non solo, ovviamente.

Secondo lei, come mai, specie in Argentina, la cittadinanza italiana viene tanto distorta nel suo vero significato?

Lì la cittadinanza viene distorta perché abbiamo dei gruppi politici che hanno fondato le loro fortune sul fatto di averla facilmente. E questo è stato un elemento importante fin dagli inizi degli anni Duemila: ricordiamo le file interminabili nei Consolati, la corsa che abbiamo ancora in tutto il Sudamerica, l’enorme pressione e il grande giro di affari che coinvolge anche tutta l’ Italia per avere la cittadinanza, cosa che sta creando grossi problemi rispetto alla capacità dei Comuni, a seguito di realizzare le ricerche per poterla ottenere.

Cosa propone per portare l’attualità italiana a conoscenza dei discendenti dei nostri emigrati?

Bisogna fare in modo di rafforzare sia l’apprendimento della nostra lingua che le strutture consolari stesse, fatti di cui siamo a conoscenza da anni senza operare provvedimenti importanti. Fino a quando le rappresentanze come la Cgie verranno ridimensionate, i Comites non saranno rafforzati e soprattutto fino a quando i maggiori partiti “delegheranno” la rappresentanza politica (sottosegretariati) data a partiti minori mancherà attività politica all’estero. Non esiste, inoltre, un’aggregazione politica che si occupi in modo importante, se non residuale, delle vicende degli italiani all’estero, in gran parte sconosciute, delegando a ciò una rappresentanza che ha poca capacità di presa nei confronti del Parlamento italiano costituita dagli eletti all’estero: i quali però non vengono mai nei territori, a parte pochissime eccezioni, e non si preoccupano di avere relazioni con l’associazionismo italiano, di rapportarsi con le Regioni e soprattutto fare veramente da tramite tra le comunità italiane e le associazioni storiche esistenti da noi. Tutti parlano di innovazione, ma senza le associazioni ancora in piedi nel nostro Paese non si va da nessuna parte, con il rischio di svolgere un’attività per i nostri connazionali all’estero che nulla ha a che vedere con loro. Ed è quello che noi vediamo quando si fa tanta promozione turistica che alla fine si riduce a un’iniziativa una tantum, senza i risultati che si vorrebbero raggiungere.

(Arturo Illia)

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