“La nuova montagna ormai non è più tanto nuova”: lo sostiene Franco Carmelo Lentini, oltre 30 anni di esperienza nel mondo dell’hotellerie, gestendo numerosi progetti con crescenti livelli di responsabilità, già general manager per importanti aziende alberghiere (compreso il Cristallo di Cortina). Oggi è Hospitality Business Development Manager per Enrosadira srl Cortina.
Si spieghi meglio, Lentini.
La sua pelle è cambiata già da parecchi anni, con una svolta più marcata nel 2018, quando l’estate ha registrato un aumento consistente delle presenze, soprattutto straniere. La montagna non è più percepita quale luogo di riposo, piuttosto di svago e attività diverse. Post-Covid la mutazione ha avuto un’ulteriore accelerazione, ovviamente dovuta al bisogno diffuso di spazi aperti, di aria pulita e via dicendo, un mix di sicurezza sanitaria e salubrità ambientale. Il tutto ha portato a una maggiore strutturazione della stagione estiva, che s’è allungata rispetto al passato, da fine maggio a fine ottobre. Nel 2019 il tasso di occupazione delle camere alberghiere è arrivato a percentuali inedite, oltre il 90%, ma si può crescere ancora, magari incrementando la destagionalizzazione.
Ma si tratta di un trend modaiolo, destinato a diluirsi nel tempo?
Non direi, è un fenomeno che avrà seguito, anche secondo gli analisti di Horwath. Si pensi, ad esempio, che il biking ha avuto un rialzo del 300%. Gli operatori che in inverno noleggiano le attrezzature per lo sci, in estate affittano bike ed e-bike, e proprio in estate i loro fatturati risultano superiori a quelli invernali per il 20%.
Insomma, la vecchia proporzione sul valore delle stagioni turistiche in montagna, 70% per l’inverno e il 30% per l’estate, va rivista?
Decisamente. La criticità oggi è la stagionalità rigida, con molte imprese dell’hospitality, ma non solo, che mantengono le loro aperture legate ai calendari tradizionali, quando invece la condizione indispensabile per la destagionalizzazione è l’apertura delle strutture, è offrire ai turisti fuori date canoniche le stesse opportunità dell’alta stagione. Come si è ben capito in altre zone, ad esempio in Alto Adige: qui in Cadore il tasso di occupazione medio annuo s’aggira sul 55-60%, in Alto Adige arriva al 90%. Va aggiornata la cultura d’impresa, sull’esempio di quanto fanno già gli alberghi di grandi catene, che restano attivi tutto l’anno. È ovvio che per una piccola struttura a gestione familiare può essere più complicato, ma credo che manchi soprattutto la volontà di cambiare. Attualmente, Enrosadira ha acquisito e sta ristrutturando il San Marco, un albergo cortinese che era chiuso da molti anni: al primo punto del nuovo progetto di gestione è proprio l’apertura 365 gg.
Come si può arrivare al cambiamento di mentalità e di modulazione d’impresa?
Gradualmente. Gli operatori devono formarsi e prepararsi alle evoluzioni, devono diventare proattivi e agire di conseguenza. La digitalizzazione offre grandi opportunità, e già oggi sono evidenti le differenze tra chi ha imparato a sfruttarla e chi no. Ma c’è ancora chi pensa di poter andare avanti con la sua rendita di posizione, c’è chi ragiona solo per il flusso di cassa, c’è chi non sa nemmeno cosa siano le tariffe dinamiche, chi si affida a gestionali obsoleti o rudimentali. Così non si fa impresa, si tenta solo di sopravvivere.
Si confidava nel passaggio generazionale, per l’applicazione delle nuove tecnologie…
Vero, ma bisognerebbe che il passaggio ci fosse. In realtà sembra che gli imprenditori siano poco disposti a costruire quei passaggi, e anche che i più giovani non siano molto propensi a proseguire le attività familiari. L’hotellerie negli anni ha perso forse il suo appeal, ed è vero che certi modelli andrebbero rivisti. Per non parlare dei dipendenti, asset indispensabili per i quali però si è fatto ben poco. Come per gli stagionali che facevano gli stagionali a tempo pieno, senz’altra occupazione, e a questi non si sono proposte alternative valide. In realtà non sappiamo nemmeno comunicare i nuovi approcci richiesti, mentre tutti sanno bene dei sacrifici impliciti nel mestiere. Ma non si possono chiedere solo sacrifici, soprattutto ai giovani.
Come si potrebbe incentivarli?
Con pacchetti retributivi nuovi e integrati, anche con trattamenti particolari di welfare e maggiorazioni legate al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Le buste paga andrebbero condite con benefit, insomma. I datori potrebbero farlo fin da subito, senza la necessità di passare attraverso speciali contrattazioni collettive. Ma bisognerebbe anche riuscire a comunicare ai giovani la prospettiva di una carriera, di una possibile crescita all’interno dell’azienda. Resta poi il problema forse più strategico, quello degli alloggi. Non si può pensare di assumere personale, anche stagionale, senza offrire una sistemazione decorosa e confortevole. Credo bisognerebbe che lo stesso rispetto praticato con i clienti venisse praticato anche con i clienti interni, i collaboratori. Ma questo avviene raramente, e i giovani evidentemente lo percepiscono e rifiutano l’offerta. Le staffhouse sono oggi un problema prioritario, quando le case disponibili per gli affitti scarseggiano, vista l’incetta delle compagnie di affitti brevi o la conversione di abitazioni private e seconde case in alloggi turistici. E non tutti gli imprenditori sono nelle condizioni di acquistare strutture dismesse per trasformarle in sistemazioni per i dipendenti.
Quindi?
Penso che le località a vocazione turistica garantiscano l’economia dei territori, quindi se soffre il turismo soffre tutt’intera quella località. Quindi l’ente pubblico non può sottrarsi alle proprie responsabilità, anche e soprattutto per le staffhouse. E invece… Faccio un esempio, legato alle prossime Olimpiadi invernali del ’26, per le quali si sta viaggiando in ritardo, con tre anni buttati per nulla. Pianificando l’ubicazione dei villaggi olimpici, in vista dei Giochi, ne sono stati stabiliti due, uno a Milano e uno a Cortina. Si tratta di circa 1.200 posti letto cadauno. Bene, per Cortina è stata individuata l’area di Fiames, è il costruttore s’era dichiarato disponibile a realizzarli e poi, finiti i Giochi, a lasciarli gratuitamente a disposizione. Perfetto, avevano detto albergatori, commercianti e amministratori del nuovo ospedale, anche loro in carenza di foresterie per medici e personale: quei posti letto sarebbero potuti diventare un’ottima soluzione quali staffhouse. Invece no, è stato deciso che quelle strutture al termine delle Olimpiadi andranno smantellate. Una grande visione strategica, vero?
(L’intervista, di Alberto Beggiolini, è tratta dal recente volume “Il turismo di montagna: sfide e opportunità di un settore in trasformazione”, realizzato da TH Group, Fondazione per la Sussidiarietà e dalla Scuola Italiana di Ospitalità – iniziativa di formazione di Fondazione Cassa Depositi e Prestiti e TH Resorts)
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