“Tutti siamo testimoni che il mondo, le economie, le società, le comunicazioni, il clima stanno cambiando ad alta velocità. Com’è possibile pensare che la montagna non stia cambiando?” Lo sostiene Paolo Tranquillini, dottore in Scienze forestali, istruttore di arrampicata, vent’anni professionalmente dedicati al turismo leisure soprattutto in località montane: Saint Moritz, Courmayeur, Corvara.



Secondo lei in che maniera sta cambiando, Tranquillini?

Per ciò che attiene alla montagna si pone l’accento soprattutto sul fatto che moltissimi centri montani, più o meno piccoli, hanno subìto e stanno subendo un continuo e progressivo spopolamento. Il territorio, sempre meno frequentato, utilizzato, coltivato quindi sta mutando: il bosco si sta riappropriando dei pascoli prativi; la regimentazione delle acque in moltissimi luoghi non risulta più curata. Ma è vero anche che dove la popolazione, gli uomini hanno ritenuto affascinante rimanere fedeli alle loro radici e alla loro cultura, la montagna e le vallate più o meno impervie risultano ancora oggi luoghi vivi, abitati, fiorenti.



Potrebbe citare qualche esempio?

Ne vorrei fare tre diversi, su tre diverse scale di grandezza. Alto Adige. Terra di confine e di montagna caratterizzata da un’economia dinamica sia nelle principali valli che in quelle remote anche in quota. Dove agricoltura e turismo vanno a braccetto garantendo una strutturale tutela e valorizzazione del territorio. Il segreto? Sicuramente alcune scelte politiche, ma soprattutto il legame del popolo altoatesino con la propria cultura, un legame con la propria tradizione forte ma mai statico o nostalgico. La Val di Fiemme. Qui alcuni imprenditori illuminati, in continuo dialogo tra loro, con le loro imprese creano occupazione, attirano in valle nuove figure professionali, riescono a far vivere un territorio non solo di turismo. Aziende che pur non essendo geograficamente posizionate negli snodi logistici esportano i loro prodotti in tutto il mondo. Aziende alla terza, quarta generazione sempre in continua evoluzione, oggi sicuramente di respiro internazionale. Aziende il cui traino è sicuramente famigliare, ma che si sono aperte a partecipazioni societarie. Calzature e abbigliamento per lo sport in montagna; pavimenti in legno selezionato e pregiato naturale al 100%; saune per i concept delle miglior SPA in tutto il mondo; un pastificio che utilizza farine selezionate per produrre pasta di alta qualità. Val Seriana. Un piccolo agriturismo nasce dall’intuizione e dal duro lavoro di un gruppo di amici che desiderano far rivivere un borgo del XV secolo situato in fondo ad un’impervia strada bianca a 850 m slm in Val Seriana. Nel sito web si legge: “Azienda agricola bergamasca con progetto di tutela dell’ambiente, innovazione e tradizione insieme per una Montagna migliore”. Agricoltura, allevamento, produzione di formaggi, carne e recentemente ristorazione. Un ristorante che attraverso il menù racconta della cultura alpina e che oltre a usare i propri prodotti coinvolge altri agricoltori, allevatori, vignaioli, artigiani del gusto e piccole attività locali per dar vita ad una filiera 100% sostenibile. E in meno di un anno diversi i riconoscimenti tra cui la prestigiosa stella Verde Michelin che premia gli innovatori rigorosamente rispettosi dell’ambiente per una gastronomia sostenibile.



Il cambiamento climatico che impatto avrà sulle terre di montagna?

Non sono un esperto e non voglio esserlo, ma molteplici saranno le conseguenze dei suoi già evidenti effetti. Innanzitutto negativi, ma non solo. Si profilano all’orizzonte anche delle opportunità da cogliere. Ad esempio, molti studi prevedono un aumento dei prezzi dei terreni coltivabili nei prossimi 5-10 anni situati tra i 600 e i 1000 mslm perché diventeranno ideali per la coltivazione delle viti. E così come i terreni aumenteranno anche i valori immobiliari: le terre alte sono destinate a diventare le terre dove trovare ristoro dal caldo sempre più prolungato e “torrido” al quale non siamo abituati. Sempre più persone riterranno interessante possedere una casa in montagna.

E come potranno incidere i cambiamenti climatici sui flussi turistici?

Già da qualche anno è in netta ripresa il turismo in montagna d’estate. Ripresa in parte dovuta al clima e alla pandemia e in parte a una quasi antropologica esigenza di potersi permettere momenti di vita all’aria aperta. Infatti, studi sempre più numerosi già a partire dagli anni ’80 hanno dimostrato che il concedersi momenti di vita in ambiente naturale ha il potere di regolarizzare molte funzioni fisiologiche. Si normalizzano i livelli di cortisolo, la pressione sanguigna e il battito cardiaco, il ritmo del respiro diventa più profondo, inducendo a una reale sensazione di benessere. Esiste poi un’altra opportunità che è quella della destagionalizzazione: primavera e direi, solo per gusto personale, ancor più l’autunno sono periodi straordinari da vivere in montagna. Purtroppo oggi, però, la frequentazione delle nostre mete turistiche in questi periodi risulta ancora bassissima. Ma reputo che la vera sfida, che per il momento ci si sforza di non vedere, sarà la sempre meno assicurata presenza della neve. Elemento su cui molti territori hanno basato la struttura stessa della loro economia. Struttura a cui sembra impossibile rinunciare, pena “la fine” del turismo stesso in montagna. Nel frattempo gli sciatori diminuiscono, così come l’acqua per innevare (siamo in Europa il paese a maggior innevamento artificiale e si pensa a come utilizzare sempre più acqua per innevare anche a scapito della disponibilità della stessa per l’agricoltura). Sinceramente reputo serva una nuova visione del turismo delle terre alte. Una reale concertazione e un vero piano strategico italiano. Le risorse, anche pubbliche, devono essere ben riposte e organiche a un piano generale. Converrà concentrare gli investimenti per lo sci in alcune aree dove è ragionevole pensare che la presenza della neve sia meglio assicurata. Come ad esempio sopra i 2000 m slm. Mentre ritengo inutile investire denaro pubblico per comprensori già oggi seriamente compromessi, caratterizzati dall’apertura saltuaria degli impianti di risalita con l’impossibilità a una seria programmazione.

E quindi quale sarà il destino di tutti questi territori? Possiamo permetterci di abbandonarli?

No di certo! Ma vale la pena pensarci ora. Pensare ora a una strutturale, culturale, rivoluzionaria transizione del turismo di montagna. Pensare ora perché per cambiare le abitudini e “l’immaginario” dei clienti nonché l’intrapresa e la mentalità degli albergatori, necessitano tempo, iniziative, marketing, leggi e finanziamenti, tentativi…e non si può più aspettare il momento in cui l’assenza della neve diventerà un problema insormontabile.

Nuove proposte? Semi inesplorate alternative?

Valorizzazione della cultura locale, riscoperta del vero artigianato, incentivazione all’agricoltura e all’industria della trasformazione agro-alimentare, rilettura e sviluppo della tradizione enogastronomica. E un turismo di montagna, per e della montagna. Esistono già degli esempi in merito. Ma mi spiego meglio. Oggi le stazioni turistiche montane cercano di offrire tutto ciò che il turista di città ha lasciato qualche ora prima: comfort, movida, shopping… Esiste invece e anche, va solo adeguatamente intercettato, chi desidera “incontrare” la montagna, chi è disposto e interessato alla tradizione locale, a contemplare la bellezza mai uguale a se stessa, ad ascoltare il silenzio della natura: trekking, esplorazione, benessere della salute. Del turista che desidera respirare l’essenza stessa della montagna

(L’intervista, di Alberto Beggiolini, è tratta dal recente volume “Il turismo di montagna: sfide e opportunità di un settore in trasformazione”, realizzato da TH Group, Fondazione per la Sussidiarietà e dalla Scuola Italiana di Ospitalità – iniziativa di formazione di Fondazione Cassa Depositi e Prestiti e TH Resorts)

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