La sostenibile leggerezza del viaggiare. Ci perdonerà Milan Kundera dell’abuso del titolo del suo romanzo forse più famoso, ma la frase aiuta a sottolineare il nuovo carattere del turismo anni Venti post o anche intra Covid. La parola chiave è “sostenibilità”, quella magica alchimia che coniuga la salute e il benessere con la crescita economica legata alla dignità del lavoro, e con il rispetto ambientale, per la salvaguardia delle risorse e dell’habitat naturale. Se si unisce quindi la sostenibilità con il viaggiare, salta fuori l’identikit del turista del nuovo trend, attento a scelte green, informate e consapevoli, distanti dall’overtourism e dalle conseguenze più impattanti delle vacanze e dei trasferimenti.
Lo sa bene anche il colosso Booking.com, che ha lanciato lo scorso autunno il suo “badge” per i viaggi sostenibili, una sorta di vademecum per chi intende selezionare mete, destinazioni e alloggi sulla base di criteri di sostenibilità. E si tratta di un bacino ben popolato: secondo uno studio di Booking.com, otto viaggiatori su dieci sarebbero intenzionati a soggiornare, nella prossima vacanza, in un “alloggio sostenibile”. È su questo presupposto insomma che l’industria dell’ospitalità deve partire per (ri)costruire credibilità e competitività.
Di strada da fare ce n’è tanta, basti considerare la recentissima lista delle dieci destinazioni più sostenibili del mondo redatta dal Global destination sustainability movement: in questa top ten, non ce n’è una italiana (per la cronaca, ecco l’elenco: Aalborg, Aarhus e Copenaghen in Danimarca, Goteborg in Svezia, Bordeaux e Lione in Francia, Zurigo in Svizzera, Tirolo in Austria, Reykjavik in Islanda, Glasgow in Scozia), e nessuna meta tricolore nemmeno nella classifica 20 Top Cities.
Ora, anche supponendo una certa partigianeria del GDSM, è comunque singolare considerare come l’Italia in tutte le indagini risulti la destinazione più fantasticata dai viaggiatori internazionali, ma venga bellamente ignorata dai ranking di sostenibilità. Se si valuta attendibile quell’80% indicato da Booking.com che si diceva prima, è un bel guaio. Lo conferma anche la Fondazione Univerde (la creatura di Alfonso Pecoraro Scanio), con il suo rapporto su “Gli italiani, il turismo sostenibile e l’ecoturismo”, in cui si dimostra che “per il 74% degli italiani il turismo sostenibile è quello più sicuro, sia per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente sia per l’aspetto sanitario”.
Le stelle, comunque, non stanno a guardare: l’industria italiana del turismo lentamente si sta attrezzando. Ad esempio, il prossimo BIT (FieraMilanoCity, in presenza dal 10 al 12 aprile) proporrà una nuova macroarea destinata a “Il viaggio come un approccio etico al territorio e alle sue risorse” e al “Bleisure e le nuove dimensioni del viaggio in una logica rispettosa della biodiversità”. E al di là del badge di Booking.com, tutto made in Italy (è nato a Verona) è il SI Rating (Sustainability Impact Rating), l’algoritmo che calcola il livello di sostenibilità delle imprese, un progetto sviluppato da ARBalzan, startup innovativa italiana fondata nel 2016 da Ada Rosa Balzan. Il software è il primo algoritmo al mondo in grado di misurare il livello di sostenibilità – ambientale, di governance e sociale – delle aziende, basato su strumenti internazionalmente riconosciuti, al fine di guidarle verso un approccio di business realmente sostenibile.
Dunque le analisi dei trend sociali e gli strumenti di valutazione ci sono: adesso bisogna scrostare vecchie abitudini, inerzie e rendite di posizione ormai sfinite per traghettare il turismo italiano sulle vetrine più illuminate.
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