Il 25 settembre s’avvicina, e si torna a parlare di turismo, in tre specifiche accezioni.

La prima è quella più immediata, dove per turismo si intende proprio il turismo comunemente inteso. E di questo turismo ne parliamo però solo noi, gli addetti ai lavori, e stop, perché non compare in nessun programma di governo proposto da partiti o coalizioni.



Tutti convinti, evidentemente, che l’asset imprenditoriale che genera almeno il 13% del prodotto interno non meriti attenzione, che quei “settemila chilometri di coste e mille di Alpi e Dolomiti” (per dirla con Graziano Debellini, presidente di TH Group) siano un corpo avulso, un motore resiliente in grado di assorbire ogni schiaffo, dal lockdown al folle conto-energia. Dunque, la risorsa numero uno del nostro Paese, mari & monti, è ignorata dall’agenda politica, salvo poi rincorrerla con interventi a posteriori, la famosa pioggia di ristori e sostegni, i cerotti che tamponano nell’immediato.



La seconda riguarda direttamente la tornata consultiva. È il “turismo elettorale”, che è l’esatto contrario della logica comune (molto applicata nei Paesi anglosassoni) dei rappresentanti eletti espressione dei territori conosciuti e di pertinenza degli stessi.

Nel Belpaese vittima della peggiore legge elettorale della sua storia (che nonostante i buoni propositi sbandierati nessuna forza politica è riuscita a modificare, probabilmente perché ognuna riteneva che così com’era potesse nuocere alle altre), con il numero dei parlamentari drasticamente ridotto senza che si sia modificato di conseguenza il sistema rappresentativo, capita che i tanto vituperati “paracadutati” si siano moltiplicati, loro sì vittime e artefici di un assurdo turismo elettorale.



Così – tanto per fare uno dei moltissimi esempi possibili – perfino il numero due dello Stato, la padovanissima presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, si è ritrovata candidata in Basilicata (con grande gioia dei lucani…), mentre la compagna di partito Anna Maria Bernini, bolognese doc, si presenta al collegio di Padova.

È l’effetto domino, bellezza! Un turismo elettorale alla rincorsa di un seggio sicuro nell’incertezza totale su cosa succederà dopo, la falla data dal Rosatellum, un sistema molto più maggioritario che proporzionale: chi vince, vince, non ci sono ballottaggi possibili, salvo presentarsi al presidente Mattarella con soluzioni alternative di coalizioni altrettanto forti della prima.

La terza declinazione della voce turismo, in vista del voto, è quella forse più vergognosa. È il turismo elettorale dei fuorisede. Tutti lamentano l’astensionismo, invocando la necessità, il dovere civico di recarsi alle urne, in un Paese dove votano due su tre, dove il partito del non-voto cresce tornata dopo tornata, dove si è perfino ipotizzato di punire chi si astiene. Così, per gli italiani residenti all’estero (poco più di 5 milioni, iscritti all’anagrafe apposita, secondo stime del 2020), si è messo a punto il sistema del voto per corrispondenza. Bene.

Qualcuno però dovrebbe giustificare come mai se un italiano a Buenos Aires riesce a votare semplicemente spedendo per posta la busta con la scheda ricevuta per tempo, lo studente di Messina iscritto fuori sede alla Bocconi, e domiciliato quindi a Milano, non lo possa fare. Succede infatti che gli studenti italiani fuori sede (circa 5 milioni, più o meno quanti sono gli italiani residenti all’estero) per riuscire ad esprimere il proprio voto non abbiano altre possibilità se non quella del turismo del voto, cioè ritornare al proprio comune di residenza, a proprie spese (in Europa, succede solo in Italia, a Cipro e a Malta).

Ora, nel solitamente non faraonico budget a disposizione di uno studente, è chiaro che i tempi e i costi del viaggio costituiscano un deterrente non di poco conto. Con buona pace di chi lamenta l’astensionismo, così si rinuncia a circa un 10% della base elettorale, una quota composta prevalentemente da giovani.

Ma se le varie proposte di legge correttive presentate negli ultimi cinque anni non sono approdate a niente, si è legittimati a pensare che quei “voti giovani” non interessino più di tanto, o facciano paura, ritenuti magari meno influenzabili dai toni roboanti delle campagne elettorali.

Come diceva Andreotti, a pensare male si fa peccato, ma quasi sempre s’indovina…

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