Il legame tra turismo e la nostra buona tavola diventa sempre più stretto. Lo dimostrano i dati rilasciati dalla sesta edizione del “Rapporto sul turismo enogastronomico italiano” che evidenzia come nel corso di quest’anno gli italiani coinvolti in almeno un viaggio che vede come principale motivazione l’enogastronomia sono il 58%, un valore superiore di ben 37 punti percentuali rispetto a quello del 2016. In termini assoluti, parliamo di circa 9,6 milioni di persone. E non è tutto. Lo studio sottolinea, infatti, come la ricerca di esperienze legate a cibo, vino e birra rappresenti un fattore chiave per una platea ancora più ampia, dal momento che ben 7 viaggiatori su 10 dicono di avere sperimentato almeno cinque “momenti enogastronomici” nel corso dei viaggi più recenti. Il che significa il 25% in più di quanto registrato nel 2021. Senza contare che anche le indicazioni sul fronte economico sono più che positive: nonostante la crisi, infatti, circa 1 turista italiano su 3 dichiara di disporre di un budget superiore a quello stanziato nel 2022 da dedicare proprio all’acquisto delle proposte enogastronomiche.



E va detto che il fenomeno non riguarda solo i nostri connazionali: secondo uno studio della European Travel Commission, infatti, il 4,5% degli europei, ossia circa 5,5 milioni di persone, indicano nell’enogastronomia la motivazione primaria dei prossimi viaggi già in agenda.

“L’alto interesse dei turisti, l’offerta eccellente del nostro Paese, la crescita attesa per il turismo dei prossimi anni ci regala un incredibile tris di assi per il futuro – afferma la curatrice del Rapporto, Roberta Garibaldi -. La sfida è oggi quello di trasformarlo in un poker, lavorando sui fattori capaci di fare esplodere le potenzialità del settore. Si evidenzia, infatti, un grande gap tra l’interesse verso le esperienze e l’effettiva fruizione, dal momento che tutte le Regioni vantano una ricchezza che può essere ulteriormente valorizzata. È importante quindi preservare e valorizzare il patrimonio culinario italiano, i paesaggi, le piccole botteghe e gli artigiani del gusto, per garantire una crescita nel lungo periodo costante, armoniosa ed equilibrata nel rapporto tra le mete più rinomate e le aree interne meno note”.



Si tratta, insomma, di spingere le destinazioni meno conosciute sostenendo al contempo con forza quelle più solide dal punto di vista enogastronomico. E in questo caso, in Italia c’è davvero solo l’imbarazzo della scelta, anche se a spiccare – rivela il Rapporto – sono soprattutto tre regioni, ovvero Sicilia, Emilia-Romagna e Campania, e tre città, ovvero Napoli, Bologna e Roma.

I dati, dunque, dicono con chiarezza che puntare sul turismo enogastronomico può rappresentare una valida strada per lo sviluppo economico del nostro Paese, tanto più che questa formula “riduce l’overtourism e gli squilibri – osserva Garibaldi -, contribuisce a mantenere le attività tradizionali nei piccoli borghi e nelle zone rurali, porta entrate aggiuntive ai produttori stimolandoli a tutelare attivamente il paesaggio, che è tra le principali leve di scelta del turista”.



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