Terzo e ultimo capitolo degli studi promossi da Cdp e Th Resorts, in occasione della presentazione romana della nuova Scuola italiana di ospitalità, è la ricerca su “Fabbisogno di nuove competenze e ruolo strategico della formazione per lo sviluppo del turismo”, curata dal team dell’Università Iulm guidato da Manuela De Carlo, direttore del master in  Hospitality and tourism management della stessa Iulm.



La ricerca si focalizza sul rapporto tra i bisogni di nuovi profili professionali (soprattutto nelle tecnologie digitali e nelle abilità personali in socialità e comunicazione) che le aziende oggi esprimono e le conseguenti risposte delle istituzioni di formazione universitaria in turismo in Italia e all’estero. Primo dato certo: esiste oggi un forte gap tra competenze ricercate dalle imprese e quelle disponibili nel mercato del lavoro. Quasi il 70 per cento della forza lavoro già occupata nel turismo avrà necessità di un drastico “tagliando” nei prossimi anni. E quindi l’intero comparto dovrà muoversi seguendo tre direttrici: profondi processi di riqualificazione degli addetti (il famoso “reskilling”); miglioramento della reputazione dell’occupazione nel turismo, in particolare nella percezione dei giovani ad alta qualificazione; necessità di intensificare e consolidare la partnership università-imprese.



Si tratta di linee guida supportate dai risultati di un’indagine sui fabbisogni di competenze professionali delle aziende alberghiere in Italia condotta tra giugno e settembre 2019 dall’Università Iulm di Milano in collaborazione con Confindustria Alberghi. Attraverso una survey su 167 hotel, 2 focus group e 5 interviste in profondità che hanno coinvolto imprenditori, general manager e direttori risorse umane di 23 hotel e catene alberghiere italiane, la ricerca ha approfondito temi specifici: politiche di reclutamento delle risorse umane; politiche di formazione delle imprese; figure professionali e competenze più ricercate e difficili da reperire nel mercato del lavoro;  collaborazioni con il mondo dell’università.



Con riferimento alle politiche di reclutamento, le assunzioni sono prevalentemente nelle aree core del business alberghiero: front-office (32,8%), F&B (24,2%) e housekeeping (13,6%) ma anche Spa & Wellness (4,9%) ed Eventi e meeting (4,3%). Nelle aree direzionali e di staff i numeri restano bassi con le eccezioni dell’area sales & marketing (7,8%) e di quella, in forte ascesa, del “revenue management”, la gestione dei ricavi (4,1%). Dal punto di vista del background scolastico, il 26,4% dei neo assunti ha un diploma di istituto alberghiero, mentre il 69,7% ha un titolo di studio universitario o post laurea a documentazione della rilevanza della collaborazione tra università e imprese per la creazione di percorsi formativi in linea con le esigenze del settore.

Riguardo alle politiche di formazione, sono stati identificati i temi su cui le aziende hanno investito nell’ultimo anno o avvertono il bisogno di investimenti formativi mirati a integrazione della formazione già erogata. Dalle interviste e dai focus group è anche emersa una forte esigenza di investire nella formazione dei capi servizio, figure chiave dell’organizzazione, con interventi tesi a rafforzare competenze di leadership, di gestione dei collaboratori e managerialità in senso lato.

Una seconda esigenza è legata alla necessità di innovazioni nei metodi didattici con formule compatibili con i ritmi di lavoro intensi dell’hotel e con un approccio didattico legato alla pratica. Infine, riguardo alle figure professionali più ricercate e difficili da reperire nel mercato del lavoro, gli intervistati hanno segnalato figure in tre ambiti principali: nell’area front-office; nell’area food & beverage; nell’area houskeeping. Il confronto ha evidenziato la profonda evoluzione di questi profili rispetto al passato e le sfide che questo pone alla formazione. La ricerca ha inoltre misurato il gap tra esigenze aziendali e competenze effettivamente presenti sul mercato del lavoro: il 76 per cento dei rispondenti afferma che le competenze ricercate sono reperibili solo in parte nel mercato del lavoro, solamente il 6% ha dichiarato di riuscire a reperirle senza difficoltà. mentre il 18% dichiara che le competenze ricercate non sono disponibili. La ricerca ha anche approfondito conoscenze (sapere), capacità (saper fare) e attitudini (saper essere) da parte dei neo-assunti. I giovani in uscita dall’istruzione superiore sono abbastanza solidi in termini di conoscenze (4 su 7), ma risultano più carenti in termini di saper fare (3,8 su 7).

Questi dati mettono in evidenza la necessità di ripensare i metodi didattici tradizionali, più adatti al trasferimento di modelli e conoscenze, che alla loro applicazione critica nei contesti lavorativi. Infine, i risultati della ricerca hanno dato alcune indicazioni in merito al potenziale di miglioramento ancora tutto da realizzare nelle collaborazioni con l’università. Il 71% delle aziende intervistate dichiara di avere rapporti di collaborazione con l’università, ma prevalentemente circoscritte alle forme più semplici (testimonianze nei corsi, stage). Forme più evolute, quali l’organizzazione di laboratori didattici (5%) o la progettazione congiunta di corsi di laurea (1%) sarebbero auspicabili per il superamento di molte delle criticità evidenziate nella ricerca. Assai limitata è anche la ricerca di collaborazioni finalizzate ad accedere a conoscenze e innovazione (2,2%), obiettivo che in altri settori industriali vanta un peso decisamente superiore.

La ricerca ha poi approfondito le caratteristiche dei corsi di formazione universitari in turismo in Italia e i profili dei laureati triennali e biennali, mettendo ancora in evidenza il forte gap oggi esistente tra i bisogni del settore e le caratteristiche dei programmi e delle formule didattiche proposti in Italia. Tale limite si riflette nei dati di occupazione (a un anno dalla laurea, solo il 42% e il 63% circa dei laureati triennali e magistrali in turismo è occupato) e nel grado di soddisfazione dei laureati (oltre il 50% dei laureati ritiene che gli studi universitari siano per niente o poco utili per il lavoro). Risultano ancora più evidenti i vantaggi del partenariato didattico università-imprese, un asset per fluidificare la tradizionalmente difficile transizione dall’istruzione al lavoro. La formula hospitality school rappresenta una forma tra le più avanzate di partnership didattica, per certi versi una piena istituzionalizzazione del fenomeno.

Lo studio si sofferma anche sulle caratteristiche della formazione eccellente a livello internazionale con un focus sull’offerta delle prime 50 università e scuole superiori specializzate in turismo e hospitality. Da questa analisi emerge che la formula hospitality school è numericamente prevalente rispetto alle università tradizionali nell’offerta formativa eccellente in Europa (15 su 20 totali) con un forte peso delle scuole svizzere (11 su 15) e al tempo stesso presenta una decisa superiorità nelle valutazioni degli employer (voto medio 91) rispetto alle università tradizionali (voto medio 59). La ricerca approfondisce quindi il valore della formula didattica della hospitalty school come ambito ideale per rispondere alle esigenze di formazione che il settore oggi esprime e per superare alcune delle criticità evidenziate dalla ricerca. E proprio i contenuti della ricerca sono stati la base di lavoro su cui l’Università Iulm, insieme a Th Resorts e Cdp, ha realizzato il progetto della Scuola Italiana di Ospitalità, secondo i più alti standard internazionali, ma al tempo stesso fortemente centrata sui valori dell’italianità, che sarà avviata nei prossimi mesi.