Il retropensiero è nocivo: si rischia di invilupparsi in una spirale oziosa di complottismo, vittimismo e tutti gli altri -ismo che aspettano solo il momento buono per inquinarci la vita. Ma provocatoriamente c’è chi registra l’attuale passacrisi (la crisi dei passaporti) alla voce “strategie per limitare l’outgoing e favorire il turismo domestico“. Malizie a parte, il dato, comunque, è incontrovertibile: per ottenere un passaporto oggi si va da un’attesa di tre mesi all’infinito. E dire che il libercolo rosso italiano è un lasciapassare formidabile: consente di viaggiare in 189 Paesi senza bisogno del visto.
Eppure, secondo un’indagine di Altroconsumo in 13 città italiane, i tempi di attesa arrivano fino a sei mesi solo per avere l’appuntamento in Questura, ma ci sono città in cui non si riesce neanche a prenotare, come Genova e Padova. Se si tenta sul portale www.passaportonline.poliziadistato.it, che fornisce le disponibilità nei commissariati della provincia, padovani e genovesi si vedono rispondere “non disponibile” per tutte le date possibili. I ministeri coinvolti (Turismo e Interni) promettono interventi, ma ancora non si vedono reali correttivi alla situazione. Il Viminale ha tentato gli open day, giornate in cui ci si può presentare in Questura senza appuntamento per chiedere il passaporto: il risultato sono state code chilometriche, con migliaia di persone in fila dall’alba.
Cosa sta succedendo? Le cause sono molte, prima tra tutte l’inadeguatezza degli uffici deputati, con poco, pochissimo personale, poca digitalizzazione, poca sincronizzazione con i sistemi operativi coinvolti nell’iter burocratico per il rilascio, fino ai problemi dell’Istituto poligrafico Zecca dello Stato, che materialmente stampa i passaporti, e che si ritrova ingolfato anche dalle aumentate richieste di stampa per le carte d’identità elettroniche. Ma su questo caos s’innestano anche altri fattori, come la rinnovata propensione di viaggiare nel post-pandemia, la Brexit inglese che ha imposto nuove limitazioni e ha reso indispensabile il passaporto per l’ingresso, e l’effetto psicologico che proprio i ritardi generano: la percezione di non poter ottenere un passaporto in tempi accettabili fa sì che sempre più persone lo vogliano avere a disposizione, perché “non si sa mai”.
In questa situazione, la vittima principale è il turismo, con le agenzie di viaggio in sofferenza: come si può prenotare un viaggio o una vacanza all’estero se non si è certi di ottenere il passaporto e potere partire? Secondo Assoviaggi, sarebbero già saltati 80 mila viaggi organizzati, per circa 150 milioni di mancate vendite per le agenzie di viaggio. L’impasse dei passaporti ha causato disdette, mancate prenotazioni o rinvii: il 39,7% delle adv sostiene di aver visto sfumare fino a 10 viaggi individuali o di gruppo, il 46,1% tra 10 e 30; ma c’è anche un 10,6% che segnala di averne persi oltre 30. Complessivamente, ne sono saltati in media 7 per agenzia, per circa 13 mila euro di vendite evaporate.
In conclusione: nessun retropensiero è giustificato, ovviamente, e nessun sabotaggio, nessun dolo cosciente. Ma ci sia permesso di restare davvero annichiliti, e anche tristemente esasperati, nel constatare che, in epoca di sbandierata Pubblica amministrazione digitale, sembra di essere ripiombati nella polverosa burocrazia di timbri e visti, dove i pezzi di carta si accumulavano in cestini che nessuno si dava la briga di sfoltire.
È incredibile che nel 2023 si possano accumulare simili ritardi, con conseguenti gravi frizioni tra i bisogni dei cittadini e la macchina dello Stato. Non solo: sono, questi, disservizi che stanno causando perdite economiche consistenti a un settore che stava invece rinascendo bene dal buco nero della pandemia, dimostrando la resilienza e la ripresa tanto evocate dai vari piani, ma ancora una volta depresse dall’inadeguatezza pubblica.
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