Per non subìre un conto energetico monstre, gli impiantisti confidavano nella clemenza del meteo, ovvero in nevicate abbondanti e in temperature rigide che mantenessero integro a lungo quanto sparato dai cannoni dell’innevamento programmato. E invece ancora una volta il cambiamento climatico globale sta facendo subire agli Stati Uniti una delle più terribili ondate di gelo della sua storia, mentre l’Europa registra temperature eccezionalmente miti per la stagione, con scarsissime precipitazioni e non pochi problemi anche per la neve artificiale, che di notte non riesce a gelare, e con le piste che nelle ore più calde non sono davvero il massimo per gli sciatori.
Le Alpi sono quasi ovunque a secco, non solo in Italia: in Francia a Natale le montagne hanno raggiunto i 20 gradi centigradi, ben al di sopra della media del periodo, e un impianto di risalita su due è stato costretto a chiudere. Male anche in Svizzera. Ma peggio ancora sui Pirenei, dove sembra d’essere in primavera e il 75% delle piste è chiuso. Un inverno finora mancato per colpa di un anticiclone sub tropicale. Ma sulle Alpi, almeno, la copertura degli impianti di neve programmata è estesa e offre comunque gli scenari tipici della stagione e l’apertura delle piste.
Peggio, molto peggio sugli Appennini, più deficitari di cannoni e più soggetti a piogge, alte temperature e conseguente chiusura di molte piste: in funzione restano i campi scuola e poco altro. Le previsioni meteo, a oggi, sono incerte: dopo qualche rapida nevicata arrivata l’altro giorno in Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia, si è ritornati al sereno, ma almeno con temperature più rigide e una rotazione di venti. Impiantisti e sciatori incrociano le dita… Anche se le prospettive a lungo termine non sono buone: i moderni modelli climatici prevedono un aumento delle precipitazioni invernali nei prossimi decenni, ma si parla di pioggia e non di neve, con la derivante necessità di un maggior uso dell’innevamento artificiale, con conseguente conflitto, in alcune zone prive di invasi dedicati, tra la domanda di acqua per le stazioni sciistiche e quella per la produzione di energia idroelettrica.
Si vedrà. Nel frattempo arriva già il primo bilancio definitivo sul 2022 dell’industria del turismo italiano: l’anno si è chiuso con quasi 400 milioni di presenze, +38,2% sul 2021, comunque ancora sotto i livelli del 2019 (dati Assoturismo-CST). Il risultato è forte soprattutto dell’aumento dei turisti stranieri, ma anche dell’ottima tenuta del mercato interno. Bene tutte le regioni e tutte le diverse tipologie di prodotti turistici, ma in assoluto le città d’arte hanno registrato la crescita più rilevante. In generale, gli arrivi si attestano su una crescita del +42,8%, per un totale di 112,3 milioni. Ma nel confronto con il 2019 si registra ancora -8,5% di presenze e -14,5% di arrivi. Il forte recupero dei flussi stranieri ha dato il maggior contributo alla crescita: l’incremento stimato è del +83,4% sul 2021 (circa 194,7 milioni di presenze, -11,8% sul 2019); il mercato domestico invece ha registrato un +11,9%, per 204,8 milioni di presenze (-5,2% sul 2019). Il movimento nelle strutture alberghiere è stimato in crescita del +45,6%, mentre l’extralberghiero si ferma al +27,6%.
Sulle previsioni per i primi tre mesi del 2023 permane sempre un certo ottimismo ma con ampi margini di incertezza. L’opinione di oltre un quarto degli intervistati, su un campione di 1.334 imprenditori, è di un’ulteriore crescita del settore, ma a ritmi decisamente più contenuti. Per il 54% le aspettative sono di una sostanziale stabilità del mercato e il 20% circa prevede, invece, una diminuzione dei flussi turistici. Una crescita economica lenta dell’area euro, l’elevata inflazione e l’aumento dei prezzi dell’energia, aggravati dal prolungamento della guerra in Ucraina, potrebbero rallentare la ripresa già nei primi mesi dell’anno.
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