La bomba nucleare tattica è già esplosa: è quella del caro-energia, che sta facendo implodere il tessuto imprenditoriale, mietendo un numero ancora imprecisato di aziende e di vittime, tra operatori, lavoratori, famiglie. Una bomba che a dire il vero sembra di quelle potenti, poco tattiche e molto strategiche, visto che colpire l’energia e i costi relativi, autorizzando di fatto le varie speculazioni di un mercato nerissimo, di guerra, significa colpire tutto il sistema, e non solo un bersaglio preciso.



Il turismo si ritrova ancora una volta in trincea, dopo aver combattuto già in primissima linea, sul fronte delle chiusure forzose del lockdown e delle restrizioni a viaggi e spostamenti. Mentre si ricucivano le ferite, grazie ai cerotti dati da un’ottima ripresa estiva, ecco la nuova, eccezionale crisi. Una crisi che tutti ripetono si deve affrontare a livello comunitario mentre si assiste invece alla prevedibile corsa in solitaria di chi può permettersi misure finanziarie nazionali eccezionali (la Germania), di chi dalla crisi ci guadagna (Olanda, che accumula extraprofitti grazie al TTF, il mercato del gas di Amsterdam), di chi nicchia sul price cap, di chi teme di essere tagliato fuori definitivamente dalle forniture.



È anche questa l’Europa, che ancora non è in grado di omogenizzare i suoi tanti Stati federati, troppe sono le disparità esistenti, gli squilibri, le politiche, le risorse disponibili. Un’evidente prova di sussidiarietà era stata data nell’affrontare la pandemia, e un’altrettanto concreta azione era stata messa in campo con il Next generation Eu, il piano di ripresa per il post-Covid, un denominatore comune che aveva innescato una sorta di solidarietà economica sulla quale s’era trovata convergenza, non essendoci di mezzo troppe ideologie o necessità di schieramento, ma utilità evidenti per tutti. Adesso, quando invece gli interventi dovrebbero inevitabilmente confrontarsi con le condizioni assolutamente diverse tra i vari Paesi, con situazioni geopolitiche anche distanti una dall’altra, con tante alleanze di mercato e di scambi, con interessi nazionali perfino divergenti, l’Europa fatica, e ancora una volta si ritrova unita praticamente solo dalla sua valuta unica e da tante proclamazioni d’intenti.



Rebus sic stantibus, davvero si può condannare la fuga in avanti della Germania? Certo sì, non si fa, non è un bel gesto, ma in realtà se la nostra situazione debitoria non fosse così cronicamente disastrosa, forse una qualche rapida misura analoga la si sarebbe potuta adottare, senza nemmeno ricorrere all’ennesimo scostamento di bilancio, che vuol dire altro debito, e mica tanto “buono”, cioè non strutturale ma solo a sostegno. Tenendo presente (lo dovrà fare anche la Germania) che aiutare imprese e famiglie a pagare le maxi bollette è un bel gesto nell’immediato, ma non elimina il problema, perché le bollette continueranno ad arrivare ma i sostegni avranno certamente una fine.

Tornando al turismo, scrivevamo l’altro giorno della tempesta che si sta abbattendo sul settore, con le gravi incertezze per le aperture della stagione invernale, dovute al rapporto sperequato tra costi e ricavi.

L’ultimo, pesante segnale è arrivato dal Salento, con una catena alberghiera di cinque strutture (Caroli hotels) che ha già deciso la chiusura: 275 dipendenti a spasso. A Verona due hotel in pieno centro (Aurora e Fontana) hanno annunciato che non apriranno nei mesi più freddi. In Friuli Venezia Giulia il 15% degli albergatori di montagna non apriranno per la stagione-neve, altri 20 strutture resteranno chiuse a Trieste. E via così, in un drammatico bollettino di una guerra inattesa, assurda, incerta e pericolosissima. Perché arginare le spese chiudendo è una strada pericolosa, che non sempre consente un’inversione di marcia. Si sa quando si chiude, non si sa quando e come e con quali clienti si potrà riaprire.

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