È il turismo la nuova manifattura italiana. Nel senso che è il turismo ad interpretare il ruolo trainante dell’economia che un tempo era esclusività della manifattura. Nei primi otto mesi di quest’anno, il turismo è cresciuto del 75% sul 2021 (dati Istat). E tra luglio e settembre l’economia italiana è salita dello 0,5%, segnando un totale di +3,9% dall’inizio anno, contrariamente a ogni stima predittiva. Ed è proprio la ritrovata tonicità dell’industria del turismo a generare l’upgrading dell’intera economia. Italia calamìta del travel, al pari della Spagna e della Francia: sono questi i Paesi, almeno secondo il Financial Times, ad aver registrato presenze superiori al prevedibile, con crescita ben più alta della media europea. Una crescita che è proseguita ben oltre i calendari canonici, una destagionalizzazione de facto, grazie a un andamento climatico particolarmente favorevole ai prolungamenti di stagione.
Eppure, eppure…
Eppure non sembra, almeno dalle sue prime mosse, che nuovo Governo e neoministra abbiano una reale percezione del valore di questo asset, anche considerando la sua valenza nel mercato del lavoro: in Veneto, ad esempio, a fronte di un calo di 6.200 posizioni lavorative registrato nell’ultimo trimestre, imputabile soprattutto dall’andamento dei contratti stagionali in agricoltura in settembre, le assunzioni finiscono con l’essere comunque in crescita, proprio grazie al forte traino del turismo. Un settore che però, malgrado i risultati estivi, resta fragilmente in balìa degli eventi, senza alcun concreto paracadute. Per restare in Veneto, una recente indagine di Fondazione Nordest per Assindustria Veneto centro (circa 4 mila imprese associate) è rivelatrice: il 59,4% degli imprenditori contattati indica quale priorità immediata la riduzione dei costi dell’energia, il 30% la lotta all’inflazione che comprime i redditi e la domanda, il 22,1% la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro. La rappresentanza, ovviamente, non si riferisce specificamente al turismo, ma il sentiment espresso dagli industriali è assolutamente mutuabile per qualsiasi tipologia d’impresa. Turismo in primis.
Tanti problemi, insomma, a partire dalla crisi energetica che ha visto lievitare i costi energetici di oltre il 300%, portando border line moltissime attività turistiche, che nei prossimi mesi rischiano la chiusura. Va anche considerata la situazione finanziaria del comparto, ancora prevalentemente in mani familiari, spesso con pesanti zavorre debitorie, aggravate negli anni di Covid. Servono nuovi strumenti, servono filiere di genere, alleanze sinergiche, strutturazioni più solide, servirebbe passare da quelle mani che in passato hanno saputo creare il bene a nuovi management che sappiano affrontare i mercati in termini di innovazione e competitività. Un esempio su tutti. Poco a poco, si sta passando dallo “star rating” al “guest rating”.
Cosa vuol dire? Significa che la classificazione canonica delle strutture, le famose “stelle”, non basta più ad indicare l’effettiva qualità dell’hospitality, e fisica e di servizi. Oggi, al pari di altri segmenti (basta pensare al meteo o alla sicurezza), nel turismo vale molto la “percezione” (la temperatura percepita al di là di cosa indica il termometro, il livello di sicurezza o insicurezza percepito, al di là delle statistiche ufficiali dei reati), e cioè la sensazione dell’accoglienza e della qualità riscontrata. Il tutto si riverbera, quasi immediatamente, sui social, generando una sorta di classificazione “dal basso”, indipendente dalle stelle ufficiali.
“La classificazione tradizionale in stelle fa riferimento alla dimensione tecnica della qualità, cioè al cosa viene erogato. Il guest rating invece è indicatore della qualità percepita dal cliente, concerne la dimensione funzionale della qualità, cioè il come viene erogato il servizio”, sosteneva già dieci anni fa Francesco Tapinassi, dirigente al Turismo della Regione Toscana e al Mibact. Il meccanismo è ormai ben noto, tant’è che più o meno tutti gli attori interessati sono già attrezzati con programmi specifici di revenue management o customer satisfaction. Forse però ancora non si affronta il fenomeno con la serietà che invece dovrebbe avere, spesso pensando che l’installazione di quei nuovi programmi sia di per sé sufficiente. Ma basta un sorriso in meno, un’indifferenza in più, un asciugamano non sostituito o altri piccoli incidenti di percorso prevedibili in qualsiasi struttura, ed ecco arrivare sui siti un commento negativo, che ovviamente genera diffidenze nelle ricerche online, spingendo al basso il rating fattuale.
Sono meccanismi nuovi, con i quali bisogna fare i conti, e per affrontare i quali bisogna mettere in campo nuove professionalità, con relative nuove competenze. Perché la qualità non si può improvvisare e non si può nemmeno confidare sempre nelle rendite di posizione delle strutture e nella predisposizione naturale all’empatia degli addetti: è necessario piuttosto costruire basi solide per un’industria del turismo che sappia porsi senza timori ai giudizi dei clienti. E dei social.
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