Il claim adottato dal ministero competente resta “Il turismo è più forte dell’inflazione”. In realtà, l’inflazione svuota le tasche e rende tutti un po’ più poveri, fatto grossomodo insignificante solo per chi povero non è. Per gli altri, la volontà di una vacanza erode le disponibilità per altro, scalzando dalla scala delle uscite tutte le altre voci, tranne le spese obbligate. Quindi l’inflazione resta, forte, e sembra resistere anche ai correttivi messi in campo dalla Bce (i rialzi dei tassi), a dimostrazione che non è (più) frutto del costo delle materie prime, ma delle speculazioni dei mercati e dell’aumento dei profitti d’impresa. Il turismo, pur restando il traino della tenuta economica italiana (più della manifattura o della produzione industriale), non esce indenne dalla spirale, e registra ad esempio una contrazione dei pernottamenti, una maggiore selezione delle date e delle destinazioni, con penalità per quelle che necessitano di lunghi trasferimenti, soprattutto in volo.
Ma quando si parla di turismo si implica una lunghissima filiera di attività, alcune connesse direttamente, altre coinvolte di conseguenza. L’ufficio studi di Fipe (la Federazione italiana dei pubblici esercizi) ha elaborato l’andamento dei prezzi di alcuni dei più importanti servizi turistici nel periodo che va da giugno 2019 a giugno 2023. Interessante notare come a fronte di una comune sorte che ha interessato tutti i servizi turistici durante la pandemia e di una comune esposizione all’aumento dei costi durante l’emergenza energetica, la risposta sia stata molto differente da settore a settore. “La variazione dei prezzi nei voli internazionali – sostiene Fipe – tocca il picco del +124,6%. Meno forte quella dei voli nazionali con +41,2%, a testimoniare che dietro questi aumenti più che un aumento dei costi c’è un problema di funzionamento dei mercati. Una circostanza che riguarda anche i pacchetti vacanza, dove la dicotomia tra nazionale (+20,9%) e internazionale (-5,9%), anche alla luce di quanto accade sui prezzi dei voli, dimostra che stavolta a non funzionare è qualcosa che riguarda i servizi turistici interni. All’opposto risultano virtuosi i settori legati alla cultura come musei (+13,4%), teatri, concerti (+4,9%) e anche quelli della ristorazione (+15%) dove l’inflazione si mantiene al di sotto di quella generale per oltre un punto percentuale. Diverso è l’andamento dei servizi ricettivi, anche se in questo caso occorre distinguere tra alberghi, dove l’aumento dei prezzi è del 33% e altre strutture come i campeggi (+18,3%) e b&b e simili (+7,1%)”.
Secondo la classifica stilata dall’Unione nazionale consumatori, invece, che ha elaborato dati Istat, per i servizi di alloggio, ossia alberghi, motel, pensioni, bed and breakfast, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù, i costi medi nazionali sono saliti del 13,6%. Con qualche eccezione: rincari maggiori, ad esempio, a Firenze, dove il rialzo annuo è del 53%; seguono Palermo (+35,9%) e Milano (+27,7%). Per quanto riguarda la ristorazione, “vince” Viterbo (+15,3%), seguita da Brindisi (+12,3%) e Cosenza (+11,5%).
I numeri cambiano, anche di molto, e bisogna sempre accoglierli con attenzione e le dovute tare (i dati di comparazione, il periodo considerato, il campione). Vero è, comunque, che l’andamento del Pil italiano segue quello dei servizi: il comparto vale circa il 70% del Pil, e di questa quota il segmento che copre l’Horeca (hotellerie, restaurant, cafè) pesa per il 35%. Si tratta di un settore che non può aspirare a grandi valori aggiunti (se non quelli immateriali, generati dalla soddisfazione e dalle esperienze dei clienti) e che è accusato spesso di una bassa produttività (visto il suo bisogno di molti addetti e vista la scarsa automazione, anche se si sta puntando molto sul digitale) e di essere un’economia estrattiva, cioè che sfrutta i giacimenti naturali degli ambienti. Ma l’impatto del comparto nella generazione inflattiva sembra più derivato (ne subisce le conseguenze) che propositivo, tranne forse nei centri più soggetti alla touristification, dove gli affitti turistici lievitano i listini (senza dover affrontare un rincaro delle materie prime) e riducono le disponibilità per i residenti.
Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo, il forte aumento delle tariffe aeree e di altri servizi comporta una ripresa non totale del settore turistico fino al 2024. Nel frattempo, il turismo italiano tira dritto, affronta l’inflazione, produce Pil: nell’attesa che il decisore pubblico affronti finalmente con gli operatori privati un piano industriale che possa ottimizzare il settore, dotandolo degli strumenti adatti (fiscali, finanziari, occupazionali, ecologici) per raggiungere la qualità competitiva che merita.
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