L’estate-turismo 2021 è quella dei debutti. Prima volta per giovanissimi camerieri, aiutochef, addetti in sala, alle pulizie, ai magazzini, tutti reclutati con estrema fatica, alcuni nemmeno mai trovati, tanto che i ranghi sono spesso ridotti, con posti vacanti dall’inizio di stagione e conseguenti ripercussioni sul buon andamento delle gestioni. Solo nella ristorazione, dicono in Fipe, la federazione dei pubblici esercizi, ci sono 150 mila posti liberi, e quelli invece occupati lo sono spesso da chi del mestiere sa poco o nulla, praticamente è in formazione, un percorso che quando otterrà risultati soddisfacenti vedrà però finita la stagione…
Ma, e gli staff di lungo corso, quel personale che di fatto è il capitale umano di alberghi, bar, trattorie e via dicendo? Che fine hanno fatto tutti? È rimasto solo lo zoccolo duro, quello che le aziende hanno saputo fidelizzare e tener pronto. Gli altri sono evaporati, distratti dal lockdown e finiti dal 2020 in nuovi mestieri, nell’incertezza tra chiusure e riaperture a singhiozzo, oppure convinti dal pavesiano “lavorare stanca” e attratti da comodi redditi di sussistenza e dai ristori, magari da integrare con qualche attività, poco faticosa, in nero. E infatti, nella sola giornata di Ferragosto, in Italia l’Ispettorato del lavoro e il Nucleo Tutela del lavoro dei Carabinieri hanno svolto 211 controlli per lo più su aziende della ristorazione e del comparto turistico, e 149 presentavano irregolarità nella gestione dei lavoratori: alcuni dei dipendenti in nero scoperti percepivano il reddito di cittadinanza. Per non dire infine dei lavoratori extra Ue (tantissimi) che si sono ritrovati le frontiere vietate. La grave crisi dell’industria turistica, insomma, non si misura solo nel rosso dei bilanci societari, ma anche nell’emorragia di professionalità, che adesso con fatica bisognerà ricostruire.
Ma non solo nel turismo il reddito di cittadinanza è finito al centro delle polemiche: mancano addetti, per le stesse motivazioni, ad esempio nell’autotrasporto, nella logistica, nell’edilizia, nella raccolta agricola. Anche il Premier Draghi ha ammesso che, pur condividendone lo spirito sociale, il Rdc è un salvagente che ha bisogno di qualche correttivo. Di fatto, in Italia non è mai scattato il meccanismo invece adottato in altri Paesi che prevede la decadenza del diritto nel caso si rifiutino due o tre proposte di impiego: manca qualsiasi forma di indicizzazione, di tracciabilità, nessuno sa quante offerte vengono proposte al singolo fruitore del reddito, e quindi… Si tratterebbe di rifondare la politica attiva sul lavoro, le procedure dei centri di collocamento e via dicendo, insomma si è fatta la legge ma non si sono adottate le misure adatte a gestirla. E bisogna anche stendere un velo pietoso sui famosi navigator, circa tremila baldi giovanotti a 1400 euro al mese più 300 di spese, che avrebbero dovuto ausiliare i Centri per l’impiego e invece di fatto sono stati loro i primi percettori di un reddito di sostegno.
La conseguenza di questa situazione è che anche uno strumento varato in aiuto soprattutto di chi aveva perso il lavoro, e faticava a trovarne un altro, è riuscito nel contrario, ossia a spingere chi un lavoro ce l’aveva, magari nel turismo, a 1200/1400 euro al mese, a chiedere il licenziamento per incassare il bonus e successivamente avere diritto al Rdc, facilmente integrabile con un modesto nero, al quale imprese strozzate dalla mancanza di personale devono cedere. Ma c’è anche un’altra deriva, cioè il rallentamento nella ripresa dell’intera industria turistica, che proprio quest’estate sta mostrando indici confortanti. Nella speranza che a fine stagione quegli addetti remigini che in due-tre mesi si sono quasi formati non decidano che effettivamente lavorare stanca, e che almeno con il Rdc il weekend è sacro.
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