Ultimi scampoli d’estate (almeno al sud, visto il brusco collasso del meteo al nord), e ultimi riverberi del tormentone che da mesi calamita attenzioni e polemiche sul mondo del turismo: l’overtourism. Le destinazioni più gettonate in tutto il mondo stanno risentendo della situazione, e in Italia Venezia, Roma, Firenze e via dicendo lo sanno bene. I residenti, frustrati e sfrattati, stanno reagendo, dagli spruzzi d’acqua sui turisti a Barcellona all’organizzazione di proteste in Grecia. Fino alla Nuova Zelanda, che si sta preparando per l’afflusso di visitatori prima della stagione turistica estiva. E proprio come quelle altre mete turistiche, anche qui il Governo sta cercando di capire come gestire gli effetti negativi del turismo di massa sulle comunità locali e sull’ambiente. Ciò include il triplicare la tassa turistica internazionale da 35 dollari neozelandesi (circa 16 euro) a 100 (circa 45 euro), con l’obiettivo di attrarre turisti più consapevoli del loro impatto e disposti a contribuire alla sua mitigazione, riducendo al contempo il numero di visitatori per proteggere i paesaggi e le culture unici del Paese.



Ma ci sono altri modi in cui l’industria del turismo può evolversi per garantire benefici sia ai viaggiatori che alle comunità che visitano? “Il cosiddetto slow travel potrebbe essere la risposta – sostiene Amy Ermann, docente di marketing e commercio internazionale all’Auckland University of Technology, su un saggio pubblicato da The Conversation e rilanciato da Aduc, l’associazione degli utenti e consumatori -. Ma l’overtourism non riguarda solo le troppe persone in un posto, riguarda anche il modo in cui le persone viaggiano. I luoghi famosi su Instagram attirano folle enormi, sconvolgendo la vita locale e talvolta portando persino alla chiusura. I viaggiatori spesso riempiono i loro itinerari con quante più attrazioni possibili, correndo da un posto all’altro in preda alla frenesia di catturare la foto perfetta. Questo approccio frettoloso non solo crea congestione, ma limita anche un coinvolgimento significativo con la destinazione”.



Secondo l’Unesco, il “turismo dei selfie” è caratterizzato dal comportamento dei turisti che scelgono le proprie mete di viaggio (sempre più condizionati dai travel-influencer) principalmente per scattare foto da condividere sui social media, spesso con monumenti e paesaggi iconici come sfondo. È una questione di (poca) personalità, di smania di farsi vedere, di affermazione di sé attraverso la prova di essere nei posti “giusti”. A differenza delle tradizionali foto di famiglia scattate davanti a monumenti, il “turismo dei selfie” nasce dal desiderio di ottenere immagini esteticamente attraenti, perfette per alimentare i propri profili Instagram. E c’è anche il problema dell’over waste. Un rapporto delle Nazioni Unite ha sollevato preoccupazioni sui rifiuti prodotti dai turisti nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, tra cui le isole del Pacifico. Secondo il rapporto, un turista in visita a queste comunità produce circa 7 kg di rifiuti al giorno, rispetto ai circa 2,5 kg prodotti da un abitante del posto.



Non si tratta comunque di viaggiare meno. “Ma di viaggiare in modo più responsabile – dice Ermann -. L’industria del turismo deve incoraggiare abitudini di viaggio che consentano sia ai visitatori che alla gente del posto di godersi il turismo senza compromettere l’integrità della destinazione. La consapevolezza, ovvero essere pienamente presenti nel momento, ha guadagnato popolarità a partire dagli anni ’70. Il concetto ha influenzato numerosi settori, tra cui lo slow food, lo slow fashion e ora lo slow travel. Si tratta di vivere le destinazioni a un ritmo rilassato, concentrandosi su connessioni più profonde con le culture locali e la sostenibilità. Questo spesso significa fermarsi più a lungo in meno posti e scegliere trasporti ecosostenibili. È importante comprendere il viaggio lento e la consapevolezza perché creano esperienze più ricche e memorabili. Il viaggio veloce e frenetico spesso lascia poco impatto positivo. Il viaggio lento e immersivo, d’altro canto, favorisce ricordi duraturi e riduce il sovraturismo, l’inquinamento e il danno culturale”.

Il turismo lento, insomma, garantisce una fruizione migliore delle esperienze. “Quando ci immergiamo consapevolmente nell’ambiente circostante possiamo avere esperienze più significative. Sorprendentemente, persino i viaggi di lusso, spesso liquidati come sprechi, possono incoraggiare rispetto e consapevolezza per coloro che investono finanziariamente e mentalmente nel loro viaggio, a differenza del turismo più economico e mainstream”. L’imperativo è andare oltre la ricerca dei like sotto un selfie. “Concentrando l’attenzione su meno esperienze, i viaggiatori possono accrescere il loro senso di stupore e apprezzamento, rendendo il viaggio più memorabile. Concentrandosi su un singolo aspetto di una visita, questa diventa speciale e memorabile”.

Bisogna concentrarsi sull’equilibrio tra turismo e conservazione. “È essenziale educare i visitatori su pratiche responsabili, per garantire che comprendano il loro ruolo nella protezione della natura. Un viaggiare che promuova un apprezzamento più profondo per le culture e gli ambienti locali è vantaggioso sia per i visitatori che per le destinazioni che si esplorano. La sfida è trovare il giusto equilibrio, incoraggiando esperienze di viaggio significative e garantendo comunque l’accessibilità per tutti”.

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