Ci sono le destinazioni, e ci sono le “destinazioni ingannate”: le chiamano destination duping, ma in realtà l’inganno se lo autosomministrano coscientemente i viaggiatori, nella pratica che li vede snobbare le destinazioni più gettonate, e asfissiate dall’overtourism, a favore di altre, più economiche ma per certi versi simili a quelle più blasonate. Secondo il marketplace Expedia, è questa una delle tendenze più significative per il 2024.
Esempi? Liverpool scelta al posto di Londra, Paros per Santorini, Curacao per St Martin e via così. Nei motori di ricerca e nelle OTA si notano gli inserimenti di particolari specifiche (“destinazione duplicati”), e i risultati vengono poi condivisi via social media, quali consigli anche per eludere le restrizioni e le tasse che molte località superfamose (come Venezia) impongono nel tentativo di frenare i flussi fuori controllo. Si tratta di un fai-da-te che rispecchia anche gli sforzi pubblici per incentivare borghi, cammini, centri minori, come gli stanziamenti del Mintur ai piccoli comuni a vocazione turistica, o come quelli francesi per indirizzare altrove i flussi che oggi vedono l’80% dei turisti concentrarsi nel 20% del Paese.
Expedia ha riportato un forte aumento delle ricerche di “destinazioni ingannate” nell’ultimo anno, con ricerche globali per le prime cinque destinazioni nell’elenco di Expedia più che raddoppiate anno dopo anno. La BBC Travel ha riportato che “uno studio del 2023 di Skyscanner ha rivelato che ben il 93% dei viaggiatori considererebbe una destinazione ingannata, e circa il 64% ha rivelato che il risparmio li ha aiutati a decidere”. Secondo Marriott International, le cosiddette “dupe destination” (mete clone) diventeranno un altro tema significativo: “Più di un terzo (34%) di chi intende viaggiare nei prossimi tre anni pensa che risparmierà tempo e denaro raggiungendo queste destinazioni alternative, che possono fornire un’esperienza simile a quelle tradizionali ma a costi minori”.
Del fenomeno si è parlato al recente ITB Berlin, in diretto collegamento con il tema overtourism, un problema che in Italia è orami esploso con danni difficilmente riparabili nel breve. Il Fatto riporta che a Bologna, ad esempio, “dal 2016 ad oggi sono spariti circa 5 mila alloggi a canone concordato” (per residenti, lavoratori, studenti), mentre quelli proposti dalle piattaforme per affitti brevi turistici sono lievitati da 800 a quasi cinquemila. Peggio, molto peggio in altre città, Venezia su tutte. In mancanza di correttivi efficaci (a oggi si è deciso solo per cedolare secca aumentata per chi gestisce più alloggi e codici identificativi per aumentare la trasparenza), sono gli stessi turisti a darsi una regolata, appunto con il duping delle destinazioni, scegliendone di simili ma meno trafficate.
Non si tratta di viaggi tarocchi, tipo i falsi della moda: in realtà le “mete simili” possono offrire esperienze e suggestioni anche più forti e certamente singolari di quelle che spesso le mete più blasonate non regalano, in viaggi confusi e disagiati dalle eccessive promiscuità, che arrivano al massimo a consentire un rapido selfie. Sono clonazioni che però vanno di pari passo con le decentralizer solutions: sempre più spesso i viaggiatori scelgono per il soggiorno centri vicini alla meta prescelta, che offrono costi più contenuti e più ampie possibilità di scelta: una modalità che però non evita l’overtourism, visto che lasciato l’alloggio o l’hotel decentrato i turisti diventano pendolari, e finiscono comunque per affollare le destinazioni ambite.
E bisogna aggiungere al tutto anche la tendenza alla ricerca di destinazioni davvero “diverse”: secondo uno studio di Skyscanner (la piattaforma di comparazione dei voli), il 94% dei viaggiatori italiani vorrebbe provare nuove mete. Fascino dell’esotico? Mica tanto: sembra che a indirizzare le scelte siano prevalentemente i costi, che motivano la flessibilità sulle ricerche delle destinazioni. Di necessità…
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