A Chengdu, capoluogo dello Sichuan, sud ovest della Cina, una città definita sub-provinciale, ma che conta circa 15 milioni di abitanti, va il primato: lì è stato aperto, nel 2018, il primo albergo senza personale: né reception, né servizi, né barman, né concierge, né nessun'”anima viva”, insomma (curioso, visto il miliardo e mezzo di cinesi…). Solo un robot che ai clienti porge un saluto standard e la tessera per accedere alla stanza. Al room service pensano altri robot, così pure al ritiro degli abiti per la lavanderia e altro ancora. Il primato cinese, però, va riconsiderato: nel 2011, infatti, a Parigi era già stato testato un precursore, l’hotel Hi Matic, vicino alla Bastiglia, albergo totalmente automatizzato, senza robot ma con tanti schermi touch-screen per digitare i codici d’accesso, ricevuti ovviamente online.
Parliamo insomma di alberghi senza personale, che detto così sembrerebbe il problema di carenza nel recruiting di addetti, difficoltà che caratterizza da un po’ di tempo il settore hospitality. E invece siamo all’albergo che al personale proprio rinuncia, saltando gli ostacoli nelle assunzioni, i costi fissi, e affidandosi alle tecnologie e all’esternalizzazione dei servizi indispensabili, in una applicazione estrema dell’outsourcing.
Cina, Francia, e in Italia? Eccoci. Siamo in Romagna, a Rimini, dove il gruppo Linbergh di Nando Filippetti (un’impresa che conta una decina di strutture, in “stile contemporaneo di ospitalità e accoglienza”, con “servizio tailor-made, italianità e dedizione all’ospite”, come recitano le note del sito aziendale) sta lanciando quello che definisce un progetto-pilota, il rilancio del Naiade, adiacente alla spiaggia, che con una radicale ristrutturazione si trasformerà in Homie (“amico” o “casa dolce casa”), entro il 2023. Niente cucine, niente personale, solo una receptionist e tutto il resto (colazioni, pulizie, ecc.) affidato a forze lavoro esterne. Qui non si tratta di automazione, né di robot: si tratta semplicemente dell’eliminazione del personale fisso. “Trovare personale qualificato è un terno al lotto – ha detto l’imprenditore all’edizione riminese di un quotidiano -. Noi daremo la possibilità ai nostri ospiti di essere autonomi, solo un’addetta alla reception”. Sarà un albergo con 40-50 camere, di lusso ma con prezzi calmierati, e dovrà segnare la strada di Linbergh per estendere l’esperienza in altre località italiane, si parla di una dozzina di nuovi hotel in una decina d’anni.
Non sarà, insomma, un albergo robotizzato, ma un hotel altrettanto spersonalizzato sì. Pur essendo comprensibile la frustrazione dell’impresa nelle difficoltà di dotarsi del necessario capitale umano, quello di Linbergh rischia un salto nel vuoto. “Una proposta cimiteriale”, la definisce Graziano Debellini, presidente di TH Group, una storica azienda che ha sempre messo al centro del proprio business il cliente, confidando nella capacità di interazione del proprio personale per garantire la migliore accoglienza e la soddisfazione del cliente. “Cimiteriale perché sembra la tomba dell’ospitalità, che invece è fatta di relazione. Così la relazione non ci sarebbe più, e se può star bene al business non sta bene per chi come noi sa bene che l’accoglienza non potrà mai fare a meno delle persone”.
Ci si può chiedere, infatti, come farà un lavoratore “somministrato” a trasmettere i valori aziendali del brand per cui, temporaneamente, lavora? E come potrà investire nelle proprie mansioni la passione che potrebbe maturare crescendo “in house”? È pur vero, però, che quello della mancanza di personale sta diventando un problema sempre più difficile da superare: il ministro al Turismo ha parlato recentemente di 250 mila addetti che mancano all’appello. “Verissimo – aggiunge Debellini -, ma invece di proporre soluzioni assurde, se non vergognose, bisognerebbe affrontare concretamente la situazione, che vuol dire rivedere il cuneo fiscale, la formazione, il reddito di cittadinanza, le retribuzioni… La logica di proiettare sul turismo la generale mancanza di personale è distorta: è necessario salvaguardare i margini del settore ma dare anche più valore alle persone. Le tecnologie, il digitale, sono strumenti importanti, essenziali, ma devono comunque restare nelle mani di chi sa che nell’ospitalità qualsiasi crescita è fatta di relazione. Si pensi dunque a costruire insieme una via d’uscita, una strategia comune per affrontare le congiunture”.
Pensare di eliminare il problema eliminando le persone sembra dunque il primo passo per disumanizzare un settore che invece nell’accoglienza può ancora continuare a crescere, producendo benessere, lavoro e quella “dedizione all’ospite” che si diceva…
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