Nell’attesa del nuovo dl che normerà gli affitti brevi – in maniera più stringente ma giudicata ancora insufficiente per arginare un fenomeno carsico emerso negli ultimi anni con effetti devastanti per i tessuti sociali delle città più colpite -, si torna a parlare dei condhotel, una tipologia di ricettività già introdotta con il dl 133/14 (lo “sblocca Italia”), poi convertito dalla legge 164/14 e seguìto nel 2018 da un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che ha dato mandato alle Regioni di disciplinarne le attività. Il condhotel è un condomio alberghiero, cioè un immobile (o più unità immobiliari purché ubicate nello stesso comune) suddiviso in singole unità abitative, anche di diversi proprietari, con condivisione di servizi comuni (check-in e out, portierato, altri servizi accessori), ed eventuale vitto, per soggiorni o vacanze di breve termine. In questo modo il singolo proprietario dell’unità abitativa ha la possibilità di utilizzarla direttamente per propri interessi per una frazione dell’anno, per lasciare poi un’altra parte dell’anno per sfruttare le potenzialità di una struttura ricettiva.



“I condhotel – precisa fiscomania.com – rispondono a condizioni di esercizio che devono svolgersi con modalità compatibili con la gestione unitaria della struttura in cui essi sono ubicati. Si tratta di: presenza di almeno 7 camere, al netto delle unità abitative a uso residenziale, collocate nel medesimo comune e aventi una distanza che non sia superiore a 200 metri lineari dall’edificio alberghiero in cui si esegue il check-in; rispetto della percentuale massima della superficie netta delle unità abitative ad uso residenziale pari al 40% del totale della superficie destinata alle camere; portineria unica; gestione unitaria e integrata con i servizi del condhotel e delle camere/unità abitative ad uso residenziale, per la durata specificata nel contratto di trasferimento delle unità abitative ad uso residenziale e comunque non inferiore a 10 anni dall’inizio dell’esercizio del condhotel; esecuzione di un intervento di riqualificazione, all’esito del quale venga riconosciuta all’esercizio alberghiero una classificazione minima di tre stelle”.



L’obiettivo dichiarato è un’ulteriore diversificazione dell’offerta turistica, favorendo gli investimenti di riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti. Il condominio alberghiero (modalità già ben rodata all’estero) consente al proprietario dell’immobile di utilizzare privatamente l’abitazione e metterla a reddito nei periodi in cui non viene sfruttata. Si può cioè acquistare un miniappartamento con cucina in un hotel di fatto e utilizzarlo solo in determinati periodi, mentre nei restanti affidarlo al gestore della struttura.

Sembrerebbe tutto molto chiaro e proficuo, ma sono state evidenziate parecchie possibili frizioni. I condhotel sono effettivamente un’innovazione, una sutura tra il mondo dell’ospitalità e quello immobiliare, per diverse possibilità d’investimento. Ma potrebbero sorgere difficoltà legate alla gestione, alla tassazione, alla volatilità dei mercati. Incertezze che hanno spinto varie Regioni a una “vigile attesa”, ossia a non introdurre ancora norme attuative specifiche in materia (secondo Ance solo 13 Regioni hanno già provveduto). Probabilmente, incide sullo stallo anche il fallimento dell’operazione Palma spa, gruppo immobiliare milanese, che si era proposto quale primo operatore italiano di strutture con formula condhotel, e finito recentemente in liquidazione giudiziale. Ma in altri territori (come ad esempio l’Emilia Romagna) si sta puntando forte proprio sui condhotel per sanare situazioni di degrado urbano, con molti alberghi chiusi da tempo (per non dire delle numerose ex colonie estive) che potrebbero essere riqualificati per proporsi con questa nuova formula, evitando la trasformazione in alloggi destinati ai circuiti delle multinazionali degli affitti brevi turistici.



Dunque, la formula-condhotel vista dal lato degli albergatori può far emergere dall’opacità molte locazioni brevi, visto l’appeal dato dalla comodità di affidare la gestione degli alloggi a operatori alberghieri, incaricati di tutta la burocrazia e dell’esercizio; vista dal lato degli enti pubblici può portare a una certa quota di riqualificazione urbana e contrasto al degrado degli abbandoni di stabili. Se si valuta la misura quale contrasto al moltiplicarsi degli affitti brevi, però, il bilancio complessivo resta incerto, o tendente allo zero. Resta evidente che i periodi in cui un proprietario di un appartamento in condhotel in una destinazione costiera lo terrà per sé non saranno certamente quelli più appetiti dai turisti. Difficile ipotizzare un proprietario – diciamo a Rimini – che abita in prima persona il suo alloggio in luglio e agosto e lo lascia alla gestione hoteliera in novembre… E quindi, fatte salve le precedenti credenziali, il risultato (anche per i riflessi sul mercato dell’ospitalità “tradizionale”) non cambia.

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