Il contratto di moltissimi lavoratori stagionali del settore del turismo è terminato, o sta per terminare. E quindi fioccano le domande di disoccupazione, che si dovrebbero tradurre nella Naspi, la nuova assicurazione sociale per l’impiego. Ma qui cominciano i problemi. Il passaggio dall’Aspi alla Naspi era considerato favorevole per i lavoratori con un rapporto di lavoro di lunga durata, meno per i lavoratori stagionali. Questo perché si fa differenza sul metodo di calcolo della durata della disoccupazione stagionale, sulla base di un meccanismo (complicato) aggiornato dall’Inps nel 2016.



Nel settore turismo sono interessati i lavoratori per aziende con diversi codici Ateco: alberghi, villaggi, ostelli, ristoranti, bar, gelaterie, stabilimenti balneari e termali. In questi giorni è partito un allarme: il nuovo Governo starebbe studiando una riduzione della Naspi al di sotto del 50% del periodo di lavoro: in pratica, solo chi riuscisse a lavorare per otto mesi l’anno avrebbe un reddito garantito tutti i mesi. Ma almeno uno stagionale su due lavora meno di sei mesi, solo uno su quattro arriva a quella soglia, e uno su quattro la supera. È noto però che il Governo Meloni vorrebbe puntare più sul lavoro che sull’assistenzialismo, prevedendo il taglio di qualsiasi sussidio possa disincentivare la ricerca del lavoro. Da qui, è prevedibile la riduzione della Naspi nella Legge di bilancio 2023.



Molto critici i sindacati. “Una scelta che non solo non va nella direzione di una maggiore, auspicata, stabilità, ma che va a colpire le fasce più deboli della filiera turistica, le lavoratrici e i lavoratori stagionali, consegnandoli ancora una volta alla prospettiva di una sussistenza intermittente e al rischio di cadere più facilmente nelle maglie di una regolarizzazione parziale, della contrattazione pirata o della totale assenza di contratto. L’indennità Naspi ha bisogno di una riforma di segno opposto, che vada a migliorarla, e la manodopera stagionale ha bisogno di maggiori tutele e non di vedere assottigliarsi quelle di cui dispone adesso. Occorre una riforma degli ammortizzatori sociali, Naspi compresa, che tenga conto delle peculiarità del turismo – afferma Fabrizio Russo, segretario Filcams Cgil nazionale -, ampliandoli semmai e dando il prima possibile un sostegno adeguato ai lavoratori della filiera turistica. L’ultima modifica apportata alla Naspi è una delle cause dell’impoverimento lavorativo di questo settore: l’ulteriore restrizione dello strumento significherebbe arrestare non solo la ripresa del turismo ma impedirne lo sviluppo”.



Critiche anche le organizzazioni datoriali. “Un’eventuale riduzione della Naspi da parte del Governo sarebbe un errore che porterebbe incertezza nel settore turistico-ricettivo, dove bisogna ragionare di più in termini di stabilità dell’occupazione per scongiurare che i professionisti, specie stagionali, fuggano verso altri lavori che gli garantiscono quel reddito annuale oggi assicurato dalla Naspi”, ha dichiarato Paolo Manca vicepresidente nazionale di Federalberghi. “Fatta eccezione per le città d’arte, la maggior parte delle destinazioni turistiche in Italia è costituita da piccoli centri, dove non è possibile trovare un altro lavoro in mesi come novembre. In Sardegna, ad esempio, i lavoratori sarebbero costretti a emigrare per metà anno”.

Il problema s’innesta, per di più, in una fase in cui il recruiting del personale, soprattutto stagionale, incontra gravi difficoltà, minacciando la tenuta di molte strutture, costrette a limitare i servizi e a non garantire le qualità standard. È ben nota la forbice tra alta e bassa stagione: si può passare da 600 mila lavoratori a più del doppio, un salto coperto proprio dagli stagionali, in questi ultimi tre anni almeno allontanatisi in massa dal settore a causa delle incertezze sul futuro e invece dalla certezza di una retribuzione a singhiozzo. Se per loro la Naspi sarà ancor più limitata è prevedibile l’aggravarsi della situazione, già oggi sufficientemente problematica. I correttivi ipotizzabili potrebbero essere sostanzialmente due: la revisione dei decreti flussi, con sincronizzazione tra fabbisogno di lavoratori stranieri e permessi d’ingresso e con una più snella burocrazia; e l’aggancio dell’indennità di disoccupazione degli stagionali con quella applicata in altri comparti con simili esigenze legate appunto alle stagioni, come l’agricoltura.

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