Il quadro generale non è buono. Nello scorso agosto le vendite al dettaglio hanno registrato un calo rispetto al mese precedente (-0,4% in valore e -1,1% in volume), mentre rispetto allo stesso mese del 2021 c’è stato un aumento del 4,3% in valore e una diminuzione del 2,1% in volume. Traducendo, significa che rispetto a un anno fa oggi si compra meno e si spende di più. Con un’evidente perdita di fiducia da parte dei consumatori: la perdita di potere d’acquisto causata dalla crescente inflazione sta portando le famiglie ad assumere atteggiamenti sempre più prudenti.
In tutto ciò, è chiaro che i primi “beni” a essere sacrificati nell’economia domestica sono quelli considerati voluttuari, non essenziali, dato che la gran parte delle entrate finiscono nelle spese obbligate, come bollette, affitti, mutui, generi alimentari. Da qui le motivazioni sui dati che stanno emergendo dalle ultime analisi sui trend che accompagnano il mondo del turismo da qui almeno fino alla fine dell’anno.
Un report di Confcommercio sulla propensione degli italiani a viaggiare nel trimestre settembre-novembre parla di un indice di 64 (scala da 0 a 100), 5 posizioni in meno di quello rilevato nel 2019, 2 in meno su quello dell’anno scorso. Va detto che, oltre alle incertezze dettate dall’inflazione e dai rincari energetici, potrebbe influire sui dati anche la grande stagione estiva appena trascorsa, dove la voglia di vacanza repressa durante la pandemia si è espressa al meglio (l’indice a fine luglio era di 81 per il mese successivo, superiore ai livelli pre-pandemia). Una volta soddisfatto il “revenge tourism”, quindi, adesso si assisterebbe a una sorta di compensazione.
Resta comunque la responsabilità maggiore di questa pericolosa flessione depressionaria, quella che già va sotto il nome di “effetto bollette”, problema noto da molti mesi, di cui tutti parlano senza che nessuno sia ancora intervenuto concretamente (si parla di “shame Europe”, vergogna Ue) legittimando così le previsioni di un Natale senza luminarie o regali, di viaggi o weekend al lumicino, di settimane bianche disertate. E imprimendo alla ripresa dell’industria del turismo un brusco stop, con le bruttissime conseguenze che ne derivano: strutture con marginalità talmente erose da motivarne la chiusura, lavoratori lasciati a casa, fornitori e produttori ridimensionati, commerci e servizi derivati al palo. Mentre l’Unione consumatori, su dati Istat, informa che i prezzi dei voli internazionali (+118% su settembre 2021) e i costi per l’energia elettrica (+103%) si sono piazzati al primo posto nella classifica dei rincari di settembre. Aggiungendo che se settembre si è rivelato un mese nero per i rincari, ottobre sarà uguale: già dall’1 sono scattati gli aumenti legati alla luce (+59%).
“Ancora nessun esecutivo sembra aver capito appieno che il turismo è un’industria e come tale va trattata – ha detto Pier Ezhaya, appena rieletto presidente di ASTOI Confindustria Viaggi – non solo perché rappresenta il 13% del Pil, ma anche per le sue caratteristiche e i suoi bisogni. Ora dovremo relazionarci con un terzo Governo, auspicando che riesca a comprendere le peculiarità e i bisogni del turismo”. “I ricavi degli alberghi – ha aggiunto Bernabò Bocca, presidente Federalberghi – non sono sufficienti per pagare l’incremento dei costi energetici. Quando ci sono ricavi sufficienti va bene, non ci sono utili ma si va avanti, oggi invece bisogna scegliere se pagare le bollette o gli stipendi. Siamo costretti ad andare dalle banche per ottenere finanziamenti, ma i tassi oggi non sono quelli di una volta, stiamo entrando in un giro pericoloso. Ciò porterà alla chiusura di tanti alberghi, molti non ce la faranno a stare in piedi in bassa stagione e riapriranno solo in alta stagione 2023. Sarà un problema anche per l’indotto, che prende il 60% della spesa del turista”.
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