Un tempo (mica secoli, appena qualche anno fa) si viaggiava per vedere, scoprire, riposarsi, per turismo, insomma, e si facevano le foto delle località visitate per poi raccontarle e condividere l’esperienza con parenti e amici, magari si mandava una cartolina ai colleghi di lavoro tanto per guadagnarsi qualche invidia. Oggi, secondo il quotidiano Guardian di Manchester, in Italia si viaggia (italiani e stranieri) non tanto per turismo, quanto per il suo aspetto secondario, e cioè solo per poter postare qualcosa sui social, testimoniando che si è andati davvero laggiù, che si è vissuta una vacanza degna di essere vista.
Per il giornale inglese, insomma, l’overtourism che fa soffrire le destinazioni italiane più note anche oltreconfine sarebbe direttamente collegato a questa moda di esserci per poterlo virtualmente diffondere, quasi il percorso del viaggiatore in Italia si dovesse snodare su una lista da spuntare: ecco Milano, e un post, ecco Verona, altro post, e poi Venezia, Firenze, Roma… e via con i post. Si parla perfino di destinazioni più “instagrammabili” di altre, definendo una classifica sulle località più iconiche, che vengono meglio nelle fotine degli smartphone. Le mode, la virtualità, la scarsità di affermazioni di sé, perfino di autostima… In realtà, c’è poco da giudicare: oggi il turismo funziona (anche) così. Tanto che perfino nell’ultima, contestatissima e costosissima campagna varata dal ministero si è puntato su una Venere influencer che guarda caso promuove destinazioni arcinote, quelle più evocative, ma anche già superconosciute e superaffollate.
Fortunatamente, c’è anche altro. Enit informa, ad esempio, che a muovere i flussi turistici in Italia c’è anche l’enogastronomia (che vale il 22,3% per gli italiani e quasi il 30% per gli stranieri), o il turismo religioso, che rappresenta tra l’1 e il 4% delle presenze totali in Italia (per il 59% italiane e per il 41% straniere), un segmento in ripresa dopo la crisi subìta per la pandemia, la guerra e l’innalzamento dei costi energetici (dal 2019 a oggi le strutture ricettive gestite o di proprietà di enti religiosi, circa 2.400, sono passate da 220.000 a 180.000 posti letto).
È in arrivo anche il Catalogo dei cammini religiosi italiani, nato per valorizzare e promuovere questa particolare forma di turismo sociale, già esistente e diffusa, coinvolgendo i soggetti che da sempre si prendono cura di questi percorsi. Poi ci sono i sentieri storici, come ad esempio la Via Francigena, parte di molti percorsi che dall’Europa, in particolare dalla Francia, conducevano nel Sud Europa fino a Roma proseguendo poi verso la Puglia, dove vi erano i porti d’imbarco per la Terrasanta, meta di pellegrini e di crociati.
E ancora i borghi. Il 2017 è stato nominato l’anno dei borghi, e ha registrato il 36% dell’afflusso turistico totale italiano, con un trend in costante crescita del 3% nel 2018 e nel 2019. Perfino nel 2020, anno di Covid, l’Istat ha registrato un incremento del 6,5% rispetto al 2019 a favore soprattutto delle destinazioni “meno consuete, presumibilmente meno affollate e con una più ampia ricettività di tipo extra-alberghiero (agriturismi, open air, ecc.) a discapito delle destinazioni estive più tradizionali, ossia le località balneari e le grandi città, solitamente caratterizzate da un maggior affollamento”.
Ovviamente, si tratta di un turismo che rispetta l’ambiente, attento alla sostenibilità, poco impattante e diluito su piccoli centri e territori vasti: esattamente il contrario dell’overtourism, insomma. Su questo trend, è nata anche una piattaforma, ilborghista.it, dedicata appunto ai borghi e ai turisti dei borghi “nata con il desiderio di dotare tutti i piccoli e medi Comuni d’Italia di un portale turistico, con il coinvolgimento di tutti coloro che amano il nostro Paese e che sognano che il turismo in Italia sveli finalmente l’immenso patrimonio nascosto nei nostri incantevoli borghi. Noi italiani dovremmo essere i primi turisti dei borghi, affinché si possa arrivare a conoscere meglio il nostro Bel Paese e imparare a raccontarlo come merita”.
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