I turisti ci sono, sono tornati. A mancare, ancora una volta, è il personale, una carenza che si ripete ormai da qualche anno, studiata, elaborata, ma ancora senza soluzioni evidenti. Mancano addetti in tutti i settori della lunga filiera del travel industry, dai receptionist ai cuochi, dai portieri ai camerieri, agli addetti ai piani e via dicendo.



È la conseguenza macroscopica della sindrome diffusa tra qualsiasi attività produttiva, forse più evidente nel trasporto aereo, dove durante la crisi Covid le compagnie, costrette a drastiche riduzioni dei voli, erano ricorse a pesanti licenziamenti di personale per tentare di arginare le perdite.

Gli addetti senza più posto di lavoro s’erano riallocati diversamente, e adesso, con il traffico in rapidissima ripresa, le company si trovano spiazzate, e costrette a nuove riduzioni di voli già schedulati e venduti, stavolta per mancanza del personale indispensabile sia a terra che imbarcato. Anche nell’hospitality l’incertezza generata dalla pandemia aveva causato l’allontanamento di molti addetti, soprattutto tra gli stagionali ma anche tra gli strutturati, che hanno lasciato deficit di esperienze e competenze.



Se si aggiunge a tutto ciò anche l’aumentata sensibilità per la qualità di vita, per i tempi del lavoro, per le prospettive di crescita, per le retribuzioni e in genere per l’appeal degli incarichi, si spiega la disaffezione della potenziale forza lavoro, distratta anche dai sussidi pubblici e dalle lusinghe del lavoro in nero. Si calcola, solo per il periodo febbraio-aprile, cioè quando riaprono le imprese stagionali (le vacanze di Pasqua sono sempre un bel stress test), che il fabbisogno delle imprese turistiche s’aggiri sui 210 mila addetti, ma il 34% delle stesse imprese segnala già difficoltà di reperimento, non solo per la preparazione inadeguata dei candidati, ma perché non trovano proprio i candidati.



Tanto da spingere alcuni a chiedere al Governo una deroga immediata al decreto flussi. La forza lavoro intanto risulta rarefatta ancora di più nei segmenti dell’hospitality dove le skill sono spesso essenziali, dove la professionalità è indispensabile. Ed invece se il turismo può superare i livelli del 2019 e crescere in qualità e competitività ha bisogno di personale formato anche in tecnologia e sensibile a tematiche come la sostenibilità o l’inclusione.

Su questa necessità s’è incentrata la seconda edizione della GTO Conference (Giovani Talenti dell’Ospitalità, un progetto fondato da Kledis Brahimi insieme a Beatrice Leon e Martina Allegro), svoltasi a Roma, dove esperti del settore turistico, imprenditori, accademici e studenti provenienti da tutto il mondo hanno condiviso idee e proposte.

Con l’obiettivo di consentire a tutti di accedere alla formazione di qualità da ogni parte d’Italia entro il 2030, per contribuire al progresso del turismo attraverso l’emancipazione delle nuove generazioni. La GTO Conference è promossa da Sommet Education che raccoglie le scuole più importanti di ospitalità del mondo e ha tra i suoi principali sostenitori anche Rocco Forte Hotels e la Scuola Italiana di Ospitalità. Si sono alternati nelle relazioni, tra gli altri, Antonello De Medici (group director of operations Gruppo Rocco Forte Hotels), Flavia Mazzarini (director of Guest experience del Verdura Resort), Giulio Contini (direttore Scuola Italiana di Ospitalità) Andrea Ronchetti (General Manager del Cristallo, a Luxury Collection Resort & Spa, Cortina d’Ampezzo.

Lo scopo dichiarato era sostenere la crescita di un settore strategico come il turismo attraverso la valorizzazione di una generazione tecnologica e sensibile a tematiche come la sostenibilità, il lavoro, la formazione, l’inclusione e la diversità. Con la missione principale di offrire una formazione di qualità accessibile a tutti.

Il focus, ovviamente, è stato sul capitale umano, partendo dalla considerazione che oggi le esigenze del settore turistico non sono le stesse di quelle del 2030, mentre si registra l’emergere di nuovi tipi di attività turistiche, prodotti, servizi e professioni, che richiedono competenze e conoscenze differenti. “Ma in Italia – ha detto Giulio Contini – si paga ancora una carenza di formazione superiore. I dati del 2019 dicono che gli studenti usciti dalla facoltà di Scienze del Turismo dopo un anno hanno trovato occupazione al 54%. Poco, troppo poco”.

Un segnale che forse potrebbe indicare una mancata aderenza del corso di studi alle esigenze del mercato. “Con la Scuola italiana di Ospitalità, nata dalla collaborazione tra TH Group e Cassa depositi e prestiti – ha proseguito Contini – abbiamo voluto offrire qualcosa di diverso, professionalizzante. In tre anni lo studente segue le lezioni, ma poi viene anche indirizzato a stages in aziende, sia in Italia che all’estero, percorsi seguiti attentamente dalla SIO, retribuiti, spesso con vitto e alloggio garantiti.

La nostra scuola vuole attrezzare i ragazzi degli strumenti e delle skill oggi necessarie per un nuovo turismo di qualità, vuole formare giovani professionisti con volontà di crescere, in strutture sensibili, che sappiano offrire una nuova reputation all’intero settore. È l’appeal che oggi manca, ma che attraverso il superamento dei gap formativi e preparando il capitale umano adeguato alle necessità di un nuovo mercato di qualità e competitività, può tornare a restituire all’intera hospitality la valenza perduta”.

 

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