Il core business del gruppo FMTG (33 hotel sparsi in sette Paesi, dall’Italia alla Carinzia, all’Austria, alla Croazia, alla Repubblica Ceca, al Montenegro, alla Slovacchia, alla Serbia) è la montagna, una montagna che negli ultimi anni è cambiata parecchio.

È cambiato anche il vostro modo di fare impresa, Erich Falkensteiner?



Direi che la montagna ha iniziato a cambiare pelle già dieci anni fa, una mutazione che con la pandemia ha avuto una poderosa accelerazione. Il contatto con la natura è oggi ancora più importante rispetto a un tempo, e le Dolomiti in questo senso sono un vero museo a cielo aperto: qui la gente vorrà sempre venire. Per di più, queste mète sono raggiungibili facilmente, con la propria automobile, e anche questo è diventato un elemento importante. I flussi sono aumentati, è vero. E noi abbiamo risposto investendo moltissimo sulla qualità, per far fronte alle nuove esigenze degli ospiti e alla grande concorrenza, quindi ospitalità accurata, grandissima attenzione alla gastronomia e al wellness, design e infrastrutture moderne.



Qualità che invece in altre località italiane, soprattutto costiere, è rimasta quella di molti anni fa…

È vero. Soprattutto in quelle destinazioni dove per molto tempo le cose sono andate fin troppo bene, che è un guaio, perché così ci si adagia. Al mare, ad esempio sulla riviera romagnola, è successo proprio questo, e tranne rare eccezioni si trovano oggi strutture evidentemente datate e bisognose di radicali interventi. Vede, l’Alto Adige arriva da una storia difficile e travagliata, qui abbiamo avuto sempre fame, e forse è questa la molla che ci ha spinti all’impegno continuo. Adesso le nostre strutture alberghiere sono pronte per gli standard richiesti e per vincere la competizione. Restano comunque alcune criticità, prima tra tutte la mobilità, che andrebbe rivista a livello infrastrutturale, ma con i nuovi collegamenti tra Brennero e Monaco tutto cambierà.



Sono opere complesse dagli iter lunghi e difficili: secondo lei, si soffre anche di troppa burocrazia?

Beh, è evidente. Faccio solo un esempio, che non riguarda questi territori, ma un noto centro delle Dolomiti. Sette anni fa presentammo a quella municipalità un progetto per un nuovo hotel, che sarebbe sorto ai piedi di una celebre montagna: sarebbe stato un 5 stelle con 120 camere, pronto per i mondiali. Solo la progettazione ci costò un milione e mezzo di euro. Sa com’è finita? Abbiamo dovuto aspettare sette anni, per poi scoprire che non se ne sarebbe fatto niente. Non contesto il fatto che il Comune abbia scelto il non-fare, avrà i suoi motivi, che non conosco. Ma contesto che per arrivare al no si sia dovuto attendere per sette anni. È questa la burocrazia, sono questi i bastoni nelle ruote che deprimono le iniziative e gli investimenti. Una delusione. Credo comunque che oltre a snellire le procedure andrebbero anche cambiate le teste: voglio dire che sì, gli iter sono quelli che sono e andrebbero accelerati, ma anche gli uomini andrebbero formati adeguatamente.

Burocrazia da cambiare, va bene. Poi? Si parla, ad esempio, di terze stagioni, ovvero di allungare le attività anche nei mesi meno frequentati.

Sì, si parla tanto di destagionalizzare, ma in Pusteria, ad esempio, molti hotel sono già aperti tutto l’anno. Certo, c’è ancora spazio per migliorare la primavera, da aprile a maggio, magari proponendo prodotti innovativi. Ma l’autunno va già adesso alla grande: noi arriviamo a fatturare più in ottobre che a luglio. Bisogna applicarsi, fare, io credo che serva che uno vada avanti, tracci la strada, poi gli altri, vedendo i risultati, seguiranno la scia. Va detto che in Europa le festività e le vacanze sono scaglionate su una vasta fetta di calendario, quindi i clienti non mancano mai.

Altra questione aperta è quella del personale…

Che però per noi non è un grande problema. Sfruttiamo le nostre scuole interne per gli apprendisti, curiamo in prima persona la loro formazione, e offriamo poi dei plus, come soluzioni di welfare o bonus vacanze. E le nostre buste paga sono certamente più soddisfacenti degli standard abituali. È anche vero che dal Covid in poi è venuto a mancare il personale che arrivava dall’Est europeo. Direi comunque che sul personale il problema più grande, e poco risolto, è quello delle staffhouse, gli alloggi che mancano. In Austria tutte le strutture di hospitality hanno anche case dedicate per i dipendenti, perché a ogni imprenditore che costruisce un hotel è data la possibilità di erigere anche le relative staffhouse. In Alto Adige, come altrove in Italia, questa possibilità non c’è, e quindi si è costretti ad acquisire ad esempio alberghi dismessi, riattarli e destinarli al personale. Anche perché non è immaginabile che un lavoratore debba affrontare la spesa per un affitto in proprio con le sue sole forze: non riuscirebbe a vivere.

Il cuneo fiscale, cioè la differenza tra il costo di un dipendente e la sua busta paga netta, incide non poco…

Direi in maniera assurda, ed è vero che quel cuneo andrebbe mitigato. Noi abbiamo 3.500 collaboratori, e a ognuno di questi vengono retribuiti tutti gli extra, gli straordinari, cosa che non avviene dappertutto, ma credo che se almeno questi extra venissero detassati sarebbe un grande passo avanti. E si riuscirebbe ad attrarre anche quei giovani che adesso invece rifiutano un lavoro in struttura. Ce ne sono tanti che vanno a formarsi all’estero, che poi tornano ma che non trovando condizioni adeguate o se ne ritornano all’estero o preferiscono altre vie. È un peccato, perché chi studia all’estero viene a conoscere la concorrenza, le sue qualità, e lavorando poi qui può contribuire al raggiungimento dell’eccellenza, l’unico asset che fa la differenza e che si conquista solo grazie a bravi collaboratori. La nostra filosofia è good to great, vincere la mediocrità e puntare al top.

Falkensteiner, un ultimo problema. L’Alto Adige, per combattere l’overtourism, per i posti letto. Una misura necessaria?

Nient’affatto. Anzi, tra qualche anno si vedrà che è stato un errore madornale. Posso immaginare un investitore che vorrebbe creare una nuova struttura e che si senta imporre un numero limitato di pernottamenti. Se ne andrebbe certamente altrove. Sa quante catene internazionali sono oggi presenti in Alto Adige? Nessuna. Si vuole andare avanti così? Certo, alcune zone soffrono di flussi di turisti eccessivi, come il lago di Braies, ma è meglio optare per la programmazione, la prenotazione. Alla fine, è il mercato a dover decidere. È giusto portare i cittadini dell’Alto Adige vero la convivenza con il turismo, una convivenza che consenta ai territori economie altrimenti impossibili.

(L’intervista, di Alberto Beggiolini, è tratta dal recente volume “Il turismo di montagna: sfide e opportunità di un settore in trasformazione”, realizzato da TH Group, Fondazione per la Sussidiarietà e dalla Scuola Italiana di Ospitalità – iniziativa di formazione di Fondazione Cassa Depositi e Prestiti e TH Resorts)

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