Sta per andare in archivio un inverno montano difficile, un inverno di ripresa dopo la chiusura totale della scorsa stagione, ma influenzato stavolta dal clima mite e avaro di neve, praticamente su tutto l’arco alpino, con rare eccezioni, come sul versante più occidentale della Valle d’Aosta, dove l’innevamento è stato più consistente. Una stagione anomala, ma salvata dall’innevamento programmato, che ha regalato comunque agli sciatori la possibilità di godersi le piste.
“Siamo ripartiti, e questa è la cosa importante, insieme al fatto che la voglia di sciare, di uscire di casa, di andare in montagna… c’è!” ci dice Valeria Ghezzi, presidente Anef, l’associazione nazionale degli esercenti funiviari, aderente a Confindustria. “Poi quarantene (con tutti i timori connessi), regole per gli stranieri e mancanza di neve naturale – continua Ghezzi – hanno causato una contrazione importante delle presenze. Tuttavia il risultato è stato migliore delle attese iniziali. Paventavamo un meno 30% e invece le cose sono andate un po’ meglio: tra il -10% e il -25% le presenze, ma tra il -5 e il -20% gli incassi. Gli italiani hanno in piccola parte sopperito alla mancanza degli stranieri. Le zone di prossimità ai grandi centri urbani (quindi Appennini e Prealpi) hanno registrato afflussi ottimi, anche migliori della media. Le destinazioni alpine da settimana bianca hanno invece pagato la grande incertezza, oltre all’assenza di stranieri”.
“È andata bene dal lato fatturati – aggiunge Stefano Maria Simei, direttore commerciale e marketing per TH Group, leader nel settore montagna leisure, con una decina di resort nelle più belle località -. La chiusura ci attesta ai volumi raggiunti nel 2018-2019, l’ultima stagione invernale piena, con minori presenze ma un evidente ricavo più alto per presenza. Peccato che questo risultato sia depresso dai costi, che sono esplosi a tal punto da comportare una minore marginalità. Neanche la maggior qualità è riuscita a compensare, ma ci riteniamo comunque soddisfatti. Interessante è anche il risultato del mercato straniero, che ha quasi raggiunto i ricavi di pre-pandemia”.
I costi elevati, soprattutto legati al caro-energia (e alla siccità, che ha messo in emergenza invasi e risorse idriche), sono insomma il problema maggiore che gli operatori si sono trovati inaspettatamente ad affrontare, in una stagione andata per altro molto bene nel periodo clou, tra Natale e Capodanno, ma che ha resistito anche successivamente, e che solo in questi giorni sta per chiudere (si scia ancora per qualche giorno a Plan de Corones, a Grostè di Madonna di Campiglio, al Faloria, a Breuil Cervinia).
Bilanci praticamente ovunque positivi: in Friuli durante le festività natalizie si è raggiunto l’80% di capienza negli alberghi, numeri più o meno simili a quelli pre-Covid e con presenze a tratti superiori alla media degli ultimi anni. L’Alpe Cimbra, in Trentino, archivia un trend incoraggiante: qui la stagione si è chiusa a fine marzo con 400 mila primi ingressi e fatturato a +1% rispetto alla migliore annata, anche se i turisti sono stati l’11% in meno sulla media delle ultime 3 stagioni (hanno pesato le assenze degli stranieri). “Venivamo da due anni difficili per tutti tra ansie, dolori e ricadute economiche – ha detto Fabio Sacco, direttore dell’Azienda per il turismo Val di Sole -. La resilienza e la determinazione della nostra comunità non sono però mai venute meno. Lo hanno dimostrato i positivi risultati della stagione che da noi prosegue grazie alle piste al passo Tonale e sul ghiacciaio”. Bene anche in Val d’Aosta: “La stagione è andata bene – ha detto Danilo Chatrian, direttore generale delle funivie di Courmayeur Mont Blanc -. Tirando le somme gli incassi sono stati a livello della media delle ultime quattro o cinque stagioni”. La Regione informa che a dicembre nel comprensorio del Monte Bianco sono state registrate 55826 presenze di italiani (+1.15 rispetto al 2019) e 17786 di stranieri (-28,81). A gennaio 58340 presenze italiane (-7,38 rispetto al 2020), 44608 a febbraio (-11,06), 34090 straniere a gennaio (-41,28) e 58359 a febbraio ( -34,91). Il calo di presenze non ha inciso però sugli incassi. +1% rispetto alla stagione 2018-2019, -4% rispetto 2017-2018.
Archiviata la stagione invernale 21-22, l’industria del turismo in montagna (basilare per le Alpi: secondo la World Tourism Organization ogni anno visitano la regione alpina più di 100 milioni di persone, circa il 12% dei turisti a livello mondiale e secondo la European Environment Agency l’industria legata al turismo invernale produce quasi 50 miliardi di euro di fatturato annuo e offre tra il 10 e il 12% dei posti di lavoro) si proietta adesso sulla prossima estiva. Con un grande punto di domanda sul personale dell’hospitality e dei servizi: basta uno sguardo in rete per contare centinaia di offerte lavoro stagionale, alcune definite “urgenti”, altre che si ripetono settimana dopo settimana, segno inequivocabile di un recruiting difficile. Il tutto mentre la voglia di turisti e vacanzieri comunque cresce, come dimostra il trend delle prenotazioni di questi giorni. Stanno spuntando anche le classifiche delle mete montano-estive redatte da siti specializzati, come The Foodellers, ovvero food & travel, la nuova frontiera del turismo enogastronomico. Riassumendo il rating, il primo posto è per La Thuile, in Val d’Aosta, regione che conquista anche il quarto posto, con Courmayeur. Al secondo posto il Trentino, poi Veneto, Alto Adige e via dicendo.
Passano gli anni, insomma, ma il fascino in quota, insomma, sembra sempre… di moda.
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