La montagna negli ultimi anni sta registrando volumi turistici molto più alti rispetto al passato, con relativi fatturati. Abbiamo chiesto a Giorgio Palmucci, socio fondatore di Assotour e Assotravel, già presidente di Confindustria Alberghi e di Enit, se sia un trend che occorre governare per non soffocare i territori o è da agevolare per favorire le economie locali? «Bisogna raggiungere un equilibrio giusto e sostenibile. La montagna del turismo è cambiata moltissimo: eravamo abituati ad associarla allo sci invernale e a pensarla mèta estiva per la terza età. Oggi è tutto diverso, la neve non significa solo sci ma anche attività a più basso costo, come le ciaspolade o le escursioni guidate. Il nostro arco alpino gode di altitudini sufficienti per l’innevamento sia naturale che programmato, ma anche se i mutamenti climatici dovessero accentuare le temperature, comprimendo le stagioni sciistiche, sono proprio le attività parallele invernali a garantire l’attrattività delle destinazioni. Per non parlare dell’estate, che ha registrato un aumento esponenziale delle presenze in montagna dovuto in buona parte sia all’aumento delle temperature di pianura, che spinge alla ricerca delle situazioni climaticamente meglio accettabili delle terre alte, sia al boom delle pratiche sportive, prima tra tutte il biking, diventato accessibile a tutti, grazie all’assistenza elettrica sulle due ruote. Ma sono tutte le attività outdoor ad aver visto incrementi record, alimentati ovviamente dalla ricerca della libertà e della sicurezza che solo i grandi spazi montani sanno offrire».
Quindi si tratta di grandi numeri, da regolare o limitare?
Credo si sia ancora lontani, in montagna, dai picchi di overtourism che si registrano ad esempio in alcune città d’arte. Salvo alcune eccezioni, certamente, che vanno gestite con la programmazione. Ma bisogna evitare gli estremismi, e intervenire piuttosto sulle infrastrutture, sulla ricettività e sull’accessibilità delle terre alte. In realtà, ci sono tante potenzialità ancora inespresse, che invece andrebbero valorizzate e sviluppate. Il turismo può aiutare moltissimo, anche in termini di ricaduta economica sui territori.
Eppure si parla di numeri chiusi, e in certe zone si è arrivati a contingentare il numero di pernottamenti.
Decisioni che mi lasciano perplesso. Credo che le destinazioni debbano invece favorire le strutture ricettive, agevolandone le attività. E parlo di qualsiasi struttura ricettiva, dagli hotel alle case vacanze. In realtà, il fenomeno più negativo per i centri montani sono i cosiddetti letti freddi, quelli delle seconde case, vuote per la maggior parte dell’anno: se quei letti restano freddi, vuoti, i paesi di conseguenza restano altrettanto vuoti, il commercio si estenua, l’economia si blocca e gli abitanti poco alla volta cercano altrove una possibilità di vita e lavoro.
Meglio più strutture ricettive, insomma, che seconde case?
Complessivamente sì, è così. Ma è una traiettoria difficile da seguire, vista la mancanza di normative precise in materia. E parlando di case, si arriva ad uno dei punti cruciali, oggi, per la montagna: l’assoluta mancanza delle staffhouse. Si lamenta la carenza del personale, ma è un deficit che è direttamente collegato al fabbisogno abitativo. Si deve arrivare a offrire ai collaboratori, specie se stagionali, la possibilità di vivere in loco su alloggi confortevoli e dignitosi, altrimenti tra gli affitti impossibili e il loro costo inaccessibile, i potenziali lavoratori sono costretti a cercare altrove. Ma sono ben pochi oggi i Comuni che si muovono per risolvere il problema, a conferma di una miopia resistente: se non c’è personale, la struttura ricettiva va in sofferenza, limita aperture e qualità del servizio, con conseguenti perdite economiche per tutta la destinazione. Vero è che un po’ ovunque ci sarebbero stabili dismessi e non utilizzati, che potrebbero in breve risolvere le necessità. Invece si arriva all’assurdo: molti alberghi sono costretti a riservare per il personale parte dei posti letto che sarebbero destinati agli ospiti, conquistando così il ben triste risultato del mancato guadagno di camere non vendute pur di assicurarsi gli addetti necessari al funzionamento della struttura.
A questo punto, l’allungamento delle aperture sembra ancora di più un’utopia…
Si parla di destagionalizzare, di allungare i periodi di apertura degli hotel, ma è vero che se anche un albergo restasse aperto oltredata (riuscendo non si sa come a superare gli ostacoli del personale), ma le attività del centro turistico (commercio e servizi) invece chiudessero alle solite date, quali potrebbero essere i turisti a scegliere quella destinazione? E bisogna considerare anche che la gran parte delle strutture è tradizionalmente a gestione familiare, conduzioni che seguono calendari abbastanza rigorosi, con le chiusure consuete, e poco propense a estensioni di calendario.
Una programmazione estesa di eventi e manifestazioni, anche sportive, potrebbe aiutare?
Certamente: gli eventi sono un ottimo volano, con un grande effetto moltiplicatore. Sono un veicolo di conoscenza per le destinazioni, tanto che sarebbe auspicabile che fossero studiati anche per località meno baciate dalla notorietà, e invece magari dotate di bellezze e tesori tutti da scoprire. La montagna non è tutta uguale, ovviamente, ma credo che ogni destinazione dovrebbe riuscire a identificare il proprio target di riferimento, e rivolgersi poi a questo con campagne mirate e focalizzate sui propri atout.
Un grande aiuto arriva dalle Film Commission. Pensa che anche promozioni mirate attraverso socialmedia e influencer potrebbero fruttare a destinazioni magari ancora poco conosciute, e itinerari meno battuti, l’appeal giusto per decentrare i flussi e le economie del mercato turistico?
Certamente. Le Film commission si impegnano con enormi ricadute benefiche, su prodotti di qualità. Sono attività che andrebbero estese anche per altri settori, come lo sport, ad esempio, che potrebbero portare alla conquista di una programmazione attenta proprio degli eventi che si diceva, evitando le sovrapposizioni, le concomitanze che invece a volte oggi destinazioni vicine subiscono, l’una all’insaputa dell’altra. E sicuramente le promozioni via social media possono allargare la conoscenza dei territori, anche quelli più “schivi”.
Recentemente sembrano ripartiti gli investimenti immobiliari in montagna, soprattutto in Cadore, sull’onda di un effetto-Olimpiadi di Cortina.
È vero, ma il modello è esportabile, immagino non ovunque, ma in alcune destinazioni – specie quelle che godono di altitudini più consone alla neve – certamente sì. I Giochi sono un punto di partenza, per gli investimenti in ricettività e in impianti, ma a lungo termine è indispensabile che tutti gli sforzi non vengano abbandonati. Non si deve bissare lo sfascio di Torino 2006, con il panorama che oggi si presenta: strutture fatiscenti, 140 milioni di impianti rimasti inutilizzati… È vero che gli investitori, compresi alcuni grandi brand internazionali, oggi stanno guardando al mare ma anche alla montagna, che sta godendo di nuovi appeal. Quindi il “modello Cortina” può certamente replicabile, ma affinché risulti un modello virtuoso bisogna che ogni sforzo sia programmato sul lungo termine, per benefici duraturi.
Servirebbero forse linee guida omogenee, impegni comuni su tutto il territorio nazionale?
Credo sarebbe tempo di una revisione della riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, quella che ha decentrato alle Regioni buona parte delle funzioni di governo, compreso il turismo, riservando al potere centrale (oggi al nuovo ministero) generiche funzioni di coordinamento e promozione. Nel mio periodo di presidenza all’Enit riuscii a raggruppare in uno stesso padiglione fieristico, a Berlino, 18 Regioni italiane. Ma fu una circostanza fortuita, perché solitamente ognuna fa per sé, mentre invece all’estero la promozione dovrebbe essere quella del brand Italia. E sono anche convinto che altre incombenze sarebbero meglio assolte da un governo centrale: cito per tutte la classificazione degli hotel, le famose stelle, che oggi sono di competenza di ogni Regione, che decide per suo conto i criteri di assegnazione. Basti pensare che la Lombardia, unico caso italiano, ha varato una legge che istituisce le Foresterie lombarde, strutture ricettive “gestite in forma imprenditoriale, in non più di sei camere, con un massimo di quattordici posti letto da chi, anche in un immobile diverso da quello di residenza, fornisce alloggio ed eventuali servizi complementari, compresa la somministrazione di alimenti e bevande”. Pensioni? Ostelli? Hotel a una-due stelle? Mah… Il tutto finisce col confondere il turista, soprattutto quello straniero, che amerebbe magari un sistema di classificazione omogeneo su tutto il territorio, al pari di quanto avviene nel resto del mondo.
(L’intervista, di Alberto Beggiolini, è tratta dal recente volume “Il turismo di montagna: sfide e opportunità di un settore in trasformazione”, realizzato da TH Group, Fondazione per la Sussidiarietà e dalla Scuola Italiana di Ospitalità – iniziativa di formazione di Fondazione Cassa Depositi e Prestiti e TH Resorts)
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