“Cambiano gli stili di vita con un’accelerazione che non ha precedenti e la montagna rispecchia questa nuova accelerazione. Due mi sembrano gli aspetti più significativi: primo, è cresciuta l’attenzione alla dimensione ambientale; secondo, nella fruizione si sono incrementate le componenti di tipo ludico. La gente vuole divertirsi, ma lo vuole fare in uno scenario il più possibile preservato dal degrado”. Lo sostiene Franco Brevini, docente di Letteratura italiana all’Università di Bergamo, con alle spalle un’intensa attività alpinistica (nel 2015 ha pubblicato “Alfabeto verticale. La montagna e l’alpinismo in dieci parole”, nel 2017 “Simboli della montagna”, nel 2019 “Il libro della neve”, premio Itas 2020). È stato responsabile scientifico a livello mondiale per l’Anno Internazionale delle Montagne proclamato dall’Onu nel 2002; nel 2003 è stato direttore scientifico del progetto governativo “Montagne Sicure”, gestito dall’Istituto Nazionale di Ricerche sulla Montagna.
Professore, posto che la montagna “fisica” è (quasi) sempre uguale a se stessa, al di là delle mutazioni legate al clima, sembra che invece sia inconsapevolmente diventata protagonista di un appeal più diffuso rispetto al passato, molto “pop”…
Oggi non bastano più belle montagne, vallate pittoresche e tranquillità. La gente vuole svolgere attività e si aspetta che qualcuno gliele organizzi e gliele proponga. Mentre un tempo arrivava nelle valli e si arrangiava da sé, oggi ha bisogno di essere presa per mano e guidata. Accanto all’ospitalità, delega alla stazione anche il compito di organizzare la vacanza. In tal senso l’estate è diventata sempre più simile all’inverno. Anche nella bella stagione ci vogliono le infrastrutture per praticare una gamma di sport piuttosto differenziata, dalle varie specialità della mountain bike a tutto il ventaglio dell’outdoor. Ma se questo impone alle stazioni di offrire un’ospitalità più attiva e organizzata, i costi inevitabilmente crescono e discriminano le stazioni più piccole.
Si dice di nuovi modelli di turismo, dei cambiamenti del turista odierno. È così?
Il primo dato, che occorre porre alla base di tutti i discorsi, è l’affacciarsi al mondo della montagna dei grandi numeri. Per la prima volta nella storia del turismo alpino abbiamo assistito a una frequentazione davvero di massa di un luogo come la montagna, che, anche a partire dagli anni del boom economico, era rimasta appannaggio di settori tutto sommato ristretti della società. Le vallate alpine non sono mai state le spiagge, ma da qualche tempo a questa parte i numeri mi sembrano cresciuti anche lì e anche nelle mezze stagioni. Enormi tanto le conseguenze come le ricadute. Abbiamo assistito a una forte domanda di montagna da parte di pubblici spesso sprovvisti di ogni conoscenza dell’ambiente alpino, con gli immaginabili problemi di sicurezza. Presso questi nuovi pubblici occorre poi promuovere un turismo più responsabile, attento, più che all’uso del territorio in senso strumentale, alla tutela della biodiversità. E questo vale per i turisti come per gli operatori. Ma l’impatto dei numeri ha fatto anche altro: ha travolto un’infrastruttura progettata per altre dimensioni. Oggi spesso si fa finta che ci sia solo un po’ più di gente, ma non è così. Tutto il sistema deve essere riprogettato e gestito con la logica dei grandi numeri. Entrando più nello specifico, le vacanze sono diventate più brevi e più frequenti, perché il bisogno di staccare è avvertito in modo sempre più urgente. Fino a qualche decennio fa si veniva in montagna soprattutto per praticare degli sport. Da qualche tempo a questa parte si continua a venire per praticare gli sport, ma ci si viene anche per cambiare ambiente, per sfuggire alla monotonia del quotidiano, per trascorrere qualche giorno in uno spazio sicuro e accogliente, dove la vita sembra più facile. L’accoppiata ambiente non inquinato e cibo genuino incontra sempre maggiori consensi. Né può stupire che in questo spazio più favorevole alla vita siano decollate anche le pratiche di cura del corpo. Qui, dove la corsa di ogni giorno rallenta – sembra dirsi il turista – posso finalmente prendermi cura di me stesso. Se dovessimo descrivere in sintesi il nuovo turista della montagna, diremmo che: è un soggetto alla ricerca di nuove attività sportive e ricreative; richiede un approccio sostenibile e rispettoso dell’ambiente; è interessato alle tradizioni e alla cultura locale.
Ovunque, ma particolarmente in montagna, il futuro sembra viaggiare sul bilico tra la messa a profitto dei giacimenti naturali e la loro conservazione.
Per capire cosa ci sia in gioco, occorre che il turismo della montagna venga inquadrato come un’attività caratteristica del turismo naturalistico: pochi individui consumano beni non riproducibili appartenenti all’intera collettività. Ma se, così facendo, se ne mette in pericolo l’integrità, è evidente che la fruizione di ambienti di particolare pregio non può essere considerata libera. Nel suo famoso libro sui limiti sociali dello sviluppo, l’economista britannico di origine austriaca Fred Hirsch parla di “beni posizionali”, ricordandoci come l’accesso a quegli ambienti coincida anche con l’appartenenza a minoranze che occupano posizioni privilegiate. In termini di giustizia questo pone ancora un altro problema. Per queste ragioni è importante che fra gli operatori turistici si diffonda una cultura che vada oltre il mero sfruttamento delle risorse. Quello che conta è assicurarne invece la trasmissione. Del resto, il patrimonio naturale non è forse un prestito che abbiamo ricevuto e che dobbiamo rendere, possibilmente migliorandolo un po’? Quando il conto economico diventa la prima delle priorità, i rischi aumentano e il futuro si fa più cupo. Lo hanno capito anche gli impiantisti, che nel settembre del 2022 attraverso l’Anef (Associazione nazionale esercenti funiviari) hanno lanciato il Manifesto per la montagna, un documento che ribadisce l’impegno nel garantire la sostenibilità dei territori, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche da quello sociale e ambientale.
Secondo lei, bisogna puntare a una maggiore copertura infrastrutturale dei territori montani?
L’espressione tende un po’ all’ossimoro, nel senso che di infrastrutture propriamente dette, con il conseguente impatto, la montagna dovrebbe averne il meno possibile e sicuramente non aggiungerne altre a quelle che già ci sono, oltre ovviamente a migliorarle. Oggi il turista non è attratto dall’antropizzazione, ma dalla wilderness. La montagna deve essere un altrove, in cui vivere esperienze qualitativamente diverse da quelle della città. Diamo servizi, non erigiamo ferro e cemento. La gente torna volentieri dove le differenze rispetto alle realtà urbane risultano più accentuate. La montagna non può essere il paese di Heidi. Ma che resti una separate reality, un mondo a parte, credo sarà apprezzato dalla maggioranza dei suoi frequentatori.
(L’intervista, di Alberto Beggiolini, è tratta dal recente volume “Il turismo di montagna: sfide e opportunità di un settore in trasformazione”, realizzato da TH Group, Fondazione per la Sussidiarietà e dalla Scuola Italiana di Ospitalità – iniziativa di formazione di Fondazione Cassa Depositi e Prestiti e TH Resorts).
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