Il mese scorso la Ragioneria dello Stato aveva ratificato il piano di ripartizione dei fondi del Pnrr (191 miliardi, dei quali 25 già incassati), sulla base di quanto stabilito fin da marzo: sui 6,68 miliardi previsti per il ticket cultura-turismo, 4,27 erano per la cultura e 2,4 per il turismo. Per quest’ultimo settore, i capitoli di intervento riguardavano l’hub del turismo digitale (spesa prevista 0,10 miliardi), cioè un portale accessibile attraverso una piattaforma web dedicata; fondi integrati per la competitività delle imprese turistiche (spesa prevista 1,80 miliardi), con credito fiscale (530 milioni) per aumentare la qualità dell’ospitalità turistica (sostenibilità ambientale, riqualificazione e aumento degli standard qualitativi delle strutture ricettive); e infine i grandi eventi turistici (spesa prevista 0,50 miliardi).
Adesso il Governo cerca di accelerare, con nuove semplificazioni per snellire l’attuazione del Piano, fortemente volute dal premier Mario Draghi, linee guida contenute nel decreto legge sul Recovery Plan (per l’esattezza “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”) varato ieri dal Consiglio dei ministri, alla vigilia della manovra fiscale che invece verterà soprattutto su pensioni e fisco. Lo scopo è il raggiungimento in tempo utile (la scadenza fissata dall’Unione europea è il 31 dicembre prossimo) dei 51 obiettivi previsti. Tra i primissimi settori affrontati dal Piano è il turismo, tra i più colpiti dalla pandemia e indicato in più occasioni quale essenziale per la ripresa dell’economia italiana. Per il turismo il decreto vale quindi 2,4 miliardi, che gli analisti (ma anche il ministro Massimo Garavaglia) predicono potrebbe salire fino a oltre il doppio con la leva finanziaria. Anche se la prudenza è d’obbligo: con il leverage è vero che l’impresa può affrontare investimenti più imponenti rispetto alle proprie forze, ma è anche vero che così facendo si rischiano ben più massicce perdite di capitale.
La maggior parte dei fondi destinati al turismo, comunque, andrà al settore ricettivo, circa 900 milioni di euro, con il superbonus all’80% (già promesso a fine estate) per la riqualificazione delle strutture, con la possibilità dell’uso del credito d’imposta in compensazione o in cessione a terzi. Il superbonus insiste su un credito di imposta appunto dell’80% delle spese sostenute per la realizzazione di interventi di riqualificazione edilizia, finalizzati innanzitutto al risparmio energetico, ma anche al consolidamento delle strutture e all’abbattimento delle barriere architettoniche. Il credito spetterà per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2024 (gli incentivi saranno erogati fino a esaurimento delle risorse stanziate per ciascuna annualità secondo l’ordine cronologico delle domande). Gli alberghi potranno aggiungere anche l’utilizzo dei contributi a fondo perduto fino a 40 mila euro, con altri 30 mila euro per progetti di digitalizzazione e innovazione.
C’è poi un capitolo legato al fondo di garanzia (dotazione di circa 350 milioni), contenuto in una speciale sezione del fondo per le pmi, per ampia parte destinato a imprese del Sud, imprese femminili o under 35. Risulta poi il fondo per gli investimenti, con contributi diretti pari al 35% della spesa per interventi di riqualificazione energetica, sostenibilità ambientale e innovazione digitale (tra 500mila e 10 milioni di euro) da realizzare entro il 2025. E infine arriva un credito d’imposta al 50% per lo sviluppo digitale di agenzie e tour operator.
Dunque si procede, ma il dl non contempla né l’estensione del bonus affitti per le strutture alberghiere gestite, né le proroghe sui mutui, né gli allungamenti sui finanziamenti garantiti dallo Stato, né l’esenzione sulla seconda rata Imu. Non sono esempi casuali: sono tutte misure invocate ancora ieri da Confindustria Alberghi, che ha scritto a Draghi e Garavaglia per ricordare che la necessità degli aiuti non è cambiata, vista l’assenza dei turisti internazionali (soprattutto intercontinentali, quelli più altospendenti) che ancora genera grandi sofferenze negli operatori, soprattutto nelle città d’arte.
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