La guerra nel cuore dell’Europa, la crisi energetica, il caro bollette, l’inflazione. Eppure – per dirla con Pierangelo Bertoli – il vento soffia ancora. Specie quello che spinge il turismo a un’incredibile velocità di ripresa. “Noi chiuderemo il 2022 a 135 milioni di euro di fatturato, che saranno 200 nel 2023. L’andamento dell’estate è stato estremamente positivo, e anche la stagione invernale che si sta aprendo si presenta in linea con i traguardi che avevamo raggiunto pre-pandemia”. Il quadro lo traccia Graziano Debellini, founder e presidente di TH Group, la catena di gestioni alberghiere leisure leader italiano nel segmento montagna.
Ed è sempre la montagna il vostro focus, presidente?
La montagna d’estate sta conoscendo un nuovo ciclo, pari ai successi di trent’anni fa, e sta colmando la forbice che storicamente pativa nel confronto con il mare per le vacanze italiane. Proprio la pandemia ha contribuito a restituire alla vacanza in quota una valenza data dagli ampi spazi e dall’aria pulita, un binomio che di per sé garantisce un ambiente più sicuro. Oggi, dopo le restrizioni e la chiusura totale scontata negli anni scorsi, anche la vacanza sulla neve è tornata ai suoi standard: le prenotazioni sono in linea con quelle del 2019, per presenze sia italiane che straniere, soprattutto inglesi, tedesche e da altri Paesi del Nord Europa, con una permanenza media di una settimana, di poco inferiore per i turisti italiani.
TH ha abituato a proporre ogni anno qualche novità…
Ed è una consuetudine che vogliamo proseguire. Infatti, montagna a parte, stiamo lavorando per consolidare il nostro prodotto nelle isole, e siamo praticamente pronti a nuove acquisizioni di grande valore. Non voglio fare il misterioso, ma sono trattative in fase di ultima definizione proprio in questi giorni.
Anche nel turismo chi si ferma in realtà torna indietro, insomma. Ma il turismo in Italia è competitivo? La qualità raggiunta è sufficiente?
È un discorso complicato. Il nostro comparto non ha mai avuto, e non ha, una giusta attenzione. La politica non lo capisce e ogni approccio risulta alla fine insoddisfacente. Per di più gli operatori sono sempre frammentati, divisi, rissosi, impegnati nella difesa spesso ottusa di rendite acquisite, refrattari agli aggiornamenti e all’innovazione. Con il risultato di lasciare il settore nelle mani di personale privo di standard formativi e digitali oggi sempre più indispensabili per ottenere quella qualità che consenta la competizione ad armi pari con le destinazioni straniere.
Avanzano le aggregazioni ma continuano soprattutto le gestioni familiari. È un problema?
Il problema esiste ed è di tutti. Si giudicano negativamente, a priori, le forme consortili e genericamente le unioni, ma in realtà bisognerebbe valutare con attenzione ogni scelta, ogni possibilità. Anche i fondi esteri non possono essere solo un tabù: è il rapporto tra investitore e gestore, piuttosto, che andrebbe indagato a fondo, per stabilire se la storia d’impresa potrebbe essere preservata anche dalla nuova proprietà, magari con la conferma del management, o parte del management, esistente. Del resto, i gruppi che hanno acquisito l’azienda imponendone subito la loro filosofia non hanno avuto vita facile, e spesso hanno dovuto ripiegare. Sono convinto che un exit lungo, diciamo di 8 o 10 anni, e l’affidamento ai quadri dirigenti rodati ed esistenti potrebbero garantire passaggi indolori.
Spesso è la scarsa attrezzatura finanziaria, la sottocapitalizzazione, a costituire un ostacolo…
Per crescere bisogna poter contare sulla partnership con un solido investitore immobiliare. L’esempio di TH è pertinente: per noi l’ingresso di Cassa depositi e prestiti, nel 2017, ha consentito un passo in più, un nuovo piano di sviluppo. Va detto che oggi un mercato dignitoso degli affitti non c’è più, e quindi ci si ritrova in una sorta di far west dove s’impone la legge del più forte, ovvero le proprietà immobiliari.
Da qualche tempo l’hospitality soffre della carenza di personale, tra un difficile recruiting e la mancanza di competenze.
Le competenze vanno costruite, ovviamente, e non finirò mai di sottolineare l’importanza della formazione, per la quale abbiamo costruito con Cdp la Scuola italiana di ospitalità, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari. Detto questo, faccio una semplicissima considerazione: in hotel convivono gli ospiti e i dipendenti, 24 ore al giorno. Ovvio, no? Ma è un qualcosa che non si è mai capito abbastanza. Il personale dovrebbe far parte integrante di queste grandi case, gli hotel, ma serve una svolta, una nuova visione. L’ha ben compreso il Club Med, che attrezza l’albergo ma anche la casa adiacente destinata al personale, con pari dignità. Se non si hanno queste accortezze, se si confinano gli addetti (sempre più provenienti da regioni diverse) in soluzioni abitative indegne, dopo un po’ questi addetti elaboreranno solo fastidio per il proprio posto di lavoro e vedranno gli ospiti come un peso.
Si parla anche della fantomatica destagionalizzazione. È un’utopia?
Forse sì, visto che non si vedono scelte politiche concretamente rivolte allo scopo. E invece sarebbero indispensabili: io posso tenere aperto l’albergo, ma se attorno, nel paese, è tutto chiuso e non si organizza alcunché, la mia apertura è solo una spesa. Così ogni anno si assiste alla corsa alla chiusura delle stagioni, anche perché i costi di esercizio sono sempre più onerosi. Bisogna lavorare per cambiare le abitudini, e lo possono fare solo le amministrazioni pubbliche e la politica, scandendo diversamente manifestazioni e calendari, anche scolastici. Le stagioni lunghe sembrano attualmente percorribili solo in orizzonti internazionali, soprattutto perché all’estero le vacanze sono molto più diluite e le strutture sono di conseguenza abituate ad aperture flessibili.
Ospitalità e ospite: oggi il rapporto s’è modificato?
Direi di sì, in maniera anche vistosa. L’ospite oggi cerca esperienze, e non vede più l’albergo come un distributore di servizi. Rispondere a questo trend non è facile, anche qui servono una nuova cultura d’impresa, una disponibilità inedita, e alcuni operatori sono già sintonizzati sulle frequenze giuste. Sono un’eccellenza, che si spera possa trainare la crescita complessiva del settore.
Presidente, un’ultima considerazione sul ministero nato lo scorso anno e che ha già cambiato timoniere.
Beh, un ministero dedicato al turismo è una buona cosa, ma così com’è non basta e serve a poco. Servirebbe una tavola davvero rappresentativa di tutte le anime del turismo, per arrivare a un’azione complessiva ed efficace. Credo che non si possa più accettare che i nostri più diretti competitor europei, Spagna e Grecia, siano davanti a noi nel ranking, pur non potendo vantare i nostri giacimenti culturali, storici, artistici, naturali. È ora di conquistare il ruolo che ci spetta.
(Alberto Beggiolini)
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