Quaranta strutture ricettive sparse tra Europa, Africa, Asia, Centroamerica e Italia (Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia), per una tipologia di vacanza tipicamente “made in Italy”, dalla gastronomia all’animazione, dalle attività alle “esperienze”. È Veratour, la compagnia fondata trent’anni fa da Carlo Pompili, che oggi l’amministra, aiutato dai figli Stefano (direttore generale) e Daniele (general manager villaggi).



Direttore, state subendo l’impatto della pandemia?

Purtroppo sì, come tutto il settore turismo, che è quello che forse sta pagando più di altri. Noi avevamo chiuso il 2019 bene, con un fatturato simile a quello dell’anno precedente (nel 2018 224 milioni, +10,2%, con un EBT di 14,7 milioni, +28%, ndr). E quest’anno avevamo cominciato bene, molto bene nei primi due mesi. Poi s’è fermato il mondo, dall’8 marzo. E mi sembra evidente che per la prima volta non riusciremo a generare utili.



Cosa che invece era sempre accaduta?

Sì, in trent’anni non abbiamo mai chiuso un bilancio in passività. Adesso vedremo: certo, abbiamo chiuso le destinazioni fino al 30 giugno, ma siamo pronti alla riapertura dai primi giorni di luglio. Se dovessero però saltare anche le settimane clou dell’estate…”.

Con simili performances, avete mai pensato alla quotazione?

Spessissimo, per concludere ogni volta con un niente di fatto: meglio di no. Noi abbiamo molta liquidità, non abbiamo bisogno né di capitalizzare, né di estendere la compagine. Preferiamo andare avanti con le nostre gambe, sempre con il medesimo entusiasmo di quando abbiamo cominciato, con gli stessi “ingredienti”, la nostra ricetta della nonna.



Voi siete tra i pochi oggi a poter contare su un monte-prenotazioni di tutto rispetto.

Il nostro è un brand che genera il 42% di clienti fidelity, che prenotano di anno in anno. I nostri villaggi in Sardegna di proprietà (ad esempio il Suneva di Costa Rei, ndr) hanno già il 45-50% di alloggi prenotati. Sul Mar Rosso scendiamo al 25-30%. Il fatto è che oltre il 60% della nostra clientela di agosto è la stessa dell’anno precedente e magari dell’anno precedente ancora.

Una fidelizzazione incredibile. Merito delle vostre formule all-italianity?

Penso di sì, evidentemente chi soggiorna da noi si trova bene e vuole ripetere l’esperienza. La nostra formula club funziona. Per cui il cliente o già in struttura si assicura la vacanza per l’anno successivo (ma certi chiedono addirittura anche la medesima stanza) o con largo, larghissimo anticipo va in agenzia per la prenotazione.

Perché voi operate esclusivamente con le agenzie, vero?

Sì, al 100%. Molti ci chiedono se offriamo il servizio in house, ma ognuno deve fare il suo mestiere: meglio le agenzie. Che però in questi mesi stanno soffrendo moltissimo.

E ospitate molti stranieri?

Nient’affatto, pochissimi. La nostra è una clientela quasi esclusivamente italiana, proveniente per il 74% dal centro-nord.

Per cui anche il vostro personale sarà prevalentemente italiano?

Per la maggior parte sì. Poi, soprattutto nelle nostre mete più lontane, è evidente che ricopriamo alcuni ruoli, magari quelli meno a contatto con il pubblico, con lavoratori del luogo. In ogni caso, a tutti forniamo direttive precise, la formazione necessaria per il perdurare intatto del nostro stile di ricevere.

A Venezia sta nascendo la prima Scuola di ospitalità italiana, proprio per formare e certificare la preparazione dei futuri operatori del mondo del turismo.

Una grande cosa, assolutamente necessaria, per di più in un Paese che di turismo vive. Lo strano è che ancora non esistesse. Vede, io ho un figlio ventenne, e per prepararlo ad affrontare il mio mondo sono stato costretto a mandarlo a un istituto specializzato di Ginevra. Abbastanza singolare, no? Credo che la Scuola di Venezia potrà dare un grande contributo all’intero settore, formando le professionalità necessarie per il turismo di domani.

Come giudica le misure dedicate al turismo nel Decreto Rilancio?

Scarse, poco efficaci. Si sarebbe dovuto andare molto più in profondità, con un’attenzione più consistente per le imprese così gravemente in difficoltà. Ci si è praticamente dimenticati delle piccole agenzie e degli albergatori indipendenti, e temo che anche i voucher previsti serviranno a ben poco. Il turismo ancora una volta viene trascurato, anche se è un settore da 223 miliardi l’anno per 3,4 milioni di occupati. Incredibile. Forse si pensa che la ripartenza per noi sarà semplice, ma non sarà così: questa è una crisi che durerà almeno due anni.

Avete mai dovuto affrontare problemi simili?

Abbiamo vissuto la Guerra del Golfo, che bloccò le prenotazioni per tre mesi, l’11 settembre, fermi per quattro, e ancora lo tsunami e altro ancora. Ma adesso non è scoppiata una bomba, pur terribile ma puntuale: qui la crisi è invisibile e i danni sono stratificati. Si riuscirà a ripartire davvero solo quando arriverà un vaccino.

Comunque, vi state preparando alla riapertura di luglio? Con quali precauzioni?

Abbiamo adottato un protocollo che ricalca le regole suggerite dall’Oms: distanze ampliate tra gli ombrelloni in spiaggia e ristorazione rivisitata, senza buffet, con pranzi e cene sempre servite al tavolo. Rivista anche l’animazione: niente balli di gruppo, cabaret con al massimo due persone sul palco, e posti a sedere distanziati per gli spettatori. Ma i veri problemi sono altri….

Quali?

Ad esempio il trasporto aereo, che resta ancora in forse. Il 90% del nostro fatturato è su un prodotto charter, ma se su quei voli charter – che noi noleggiamo vuoti per pieni – la fila centrale dovrà restare vuota, i conti non torneranno. Con solo il 60% dei posti occupati non si va da nessuna parte. E dire che Francia e Inghilterra non pongono limitazioni…

Diceva problemi. Cos’altro c’è?

Una gigantesca spada di Damocle sulla testa di noi tutti, quella della responsabilità civile e penale dei contagi sul posto di lavoro. Un incubo che molti si rifiuteranno di affrontare, perché è vero che siamo abituati ad assumerci il rischio d’impresa, lo abbiamo sempre fatto, ma così è davvero troppo.

E infine…

Il problema forse più pericoloso di tutti gli altri messi insieme: il cronico perdurare di troppi rinvii, di troppi se e ma, di un’incertezza che sta rallentando ogni possibilità di ripartenza e che convince tanti a gettare la spugna. Non si può davvero programmare così il nostro futuro.

(Alberto Beggiolini)

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