Era già ben chiaro nei fatti e nei dati degli ultimi mesi (anticipati e poi confermati su questo giornale): è il turismo il vero traino dell’economia italiana. E quindi le coste, le montagne, i laghi, le città d’arte e i borghi sono i grandi beni immobili sui quali si costruiscono le nostre fortune, e sono gli imprenditori del turismo (ospitalità, tour operating, servizi e commerci indotti) i veri broker di questo grande mercato, sempre in balia della volatilità della domanda, delle congiunture interne e internazionali, dell’inflazione, della sostanziale mancanza di politiche industriali adeguate.



Ci si può immaginare, nella patria della manifattura, quanto dev’essere costato alla rappresentanza degli imprenditori ammettere che “la forza trainante dell’industria e dell’economia italiana è il turismo”. Non la manifattura, non la metalmeccanica, non la siderurgia, non la chimica: il turismo. E l’ultimo rapporto flash del centro studi di Confindustria sostiene proprio questo primato, in un’analisi dove emerge che la spesa dei viaggiatori stranieri ha ormai azzerato il gap dal pre-Covid: -0,9% a giugno (era -21% in aprile) e la maggiore spesa per i servizi (+5,3% nel 2° trimestre) ha trainato i consumi grazie alla fine delle restrizioni. “Nonostante il caro energia, le condizioni di finanziamento peggiorate e l’inflazione alle stelle continuino a determinare forti rischi per i consumi – commenta Marina Lalli, presidente di Federturismo -, rincuora apprendere che nei servizi nel terzo trimestre è atteso comunque un rimbalzo, seppur ridotto, che permetterà di raggiungere numeri positivi anche nel 2023. Sono dati che evidenziano ancora una volta l’apporto determinante che il turismo, un settore che solo in Italia vale oltre il 13% del Pil, genera per l’economia del Paese e che per questo merita di essere aiutato e potenziato attraverso una seria revisione della governance. Gli imprenditori della filiera hanno già dato piena dimostrazione della loro capacità di resilienza, ora sta al Governo fare il possibile per sostenere questa componente fondamentale anche per l’occupazione del Paese, potenziando le esigue risorse che il Pnrr dedica al settore e garantendo strategie di medio e lungo periodo”.



Vale la pena ricordare che il Piano nazionale di ripresa e resilienza assegna ai progetti d’investimento sul turismo (missione 1, componente C3 “Turismo e cultura”) complessivi 2 miliardi e 400 milioni di euro. Complessivi, quindi frazionati su diversi capitoli, tra cui i principali sono la creazione del Digital Tourism Hub, i fondi per la competitività delle imprese turistiche, il progetto Caput Mundi – New generation EU per i grandi eventi turistici e la riforma dell’ordinamento delle professioni delle guide turistiche. “Gli investimenti – precisa il ministero – hanno il duplice obiettivo di innalzare la capacità competitiva delle imprese e promuovere un’offerta turistica basata su sostenibilità ambientale, innovazione e digitalizzazione dei servizi. Le azioni includono il miglioramento delle strutture ricettive e dei servizi collegati, la realizzazione di investimenti pubblici per una maggiore fruibilità del patrimonio turistico, il sostegno al credito per il comparto turistico e incentivi fiscali a favore delle piccole e medie imprese del settore”.



Tutto bello, ma resta il fatto che “se il caro gas dovesse persistere anche nel 2023 – come sostiene Confindustria -, in Italia sarebbero a rischio fino a 582 mila posti di lavoro. L’abnorme rincaro del gas e i rischi di carenza sui volumi hanno un impatto pesante sull’Italia e gli altri Paesi europei importatori di gas. Frenando le altre economie, ciò penalizza ancor più l’Italia, attraverso un minore export. Tre stime, riguardo l’incidenza sui costi delle imprese, gli effetti del balzo del prezzo e la possibile carenza, possono aiutare a capire la gravità del problema”. E quindi (ripeto: oggi, quando lo scenario internazionale è ben diverso da quello in cui fu elaborato il Piano), agli operatori del turismo-traino dell’economia di fatto servirebbe ben altro, come più volte ripetuto e chiarito da tutte le rappresentanze di settore. A partire dalla revisione del cuneo fiscale, per proseguire con un tetto ai costi energetici, alla rimodulazione Imu e Tari per gli alberghi, al sostegno alla formazione e alla competitività. Chissà se, viste le premesse, il nuovo Governo vorrà impegnarsi per strutturare davvero il turismo, e quindi l’economia del Paese?

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