Nell’industria dell’ospitalità, l’ho sentito in Tv, non si trova personale. Motivo: i giovani non vogliono fare sacrifici e imparare un mestiere. Una generazione peggio che “choosy”, per dirla alla Fornero. Ma quali sono le condizioni offerte? E quanto si guadagna? Approfittando di una breve vacanza nel ponente ligure ho fatto un esperimento, chiamando il numero di telefono riportato sul cartello di ricerca del personale esposto all’ingresso di un albergo. Nessun valore statistico per carità. Pura cronaca giornalistica.



“Il vitto l’offriamo noi”, mi hanno risposto educatamente. “Per l’alloggio deve provvedere lei. Qui imparerà molto: quello che le hanno insegnato all’alberghiero se lo deve dimenticare…”. Interessante considerazione: mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensano nelle scuole che formano cuochi, camerieri, receptionist. “E lo stipendio?”, azzardo? Il tono è sempre cortese: “Queste informazioni non le diamo la telefono. Dobbiamo vederla, capire cosa sa già fare, se ha le motivazioni. Se è interessato venga oggi pomeriggio in orario di chiusura”.



Ovviamente non mi presento. Decido di cambiare prospettiva e nel pomeriggio, mentre prendo un aperitivo, sondo i camerieri. Età attorno ai vent’anni. Dicono (ovviamente non posso verificare) che guadagnano “più o meno” mille euro lordi al mese per 10 ore di lavoro al giorno. “Ultimamente però sono 12”, mi spiega una ragazza, “perché un paio di colleghi se ne sono andati senza preavviso e siamo sotto organico…”. Il motivo della diserzione? “Erano cotti: in due mesi non hanno fatto un giorno di riposo. E la paga è quello che è…”.

Mi pare che il lavoro sia interessante, che richieda sicuramente motivazione (e resistenza fisica), ma che la paga non contribuisca a crearla. Perché se hai bisogno di mille euro per andare in vacanza con gli amici ci può stare, ma se vuoi impostare la tua vita, fare progetti, comprare casa, sposarti, azzardarti a fare dei figli (ne avremmo bisogno, se non altro per continuare a pagare le pensioni), beh non ci siamo proprio.



Quello delle remunerazioni del resto in Italia è un tema spinoso. Mentre di discute di salario minimo, tanti contratti da anni attendono di essere rinnovati (7 milioni di lavoratori solo del terziario, del turismo e dei servizi). Secondo gli ultimi dati Istat, gli italiani guadagnano 3.700 euro l’anno (in media) in meno rispetto alla media dei lavoratori europei. Il valore sale a ottomila euro in meno se raffrontiamo gli stipendi con quelli dei lavoratori tedeschi. “La retribuzione media annua lorda per dipendente”, leggiamo in una nota dell’Istituto, “è pari a quasi 27 mila euro, con una crescita nell’ultimo decennio del 12%, pari alla metà di quella osservata nella media dei ventisette Paesi dell’Unione europea, dove le retribuzioni dal 2013 hanno registrato un aumento del 23%. La Spagna è l’unico Paese che mostra dinamiche simili a quella italiana con un aumento dell’11,8%, mentre in Francia (+18,3%) e in Germania (+27,1%) la crescita delle retribuzioni lorde annue per dipendente procede a ritmo più spedito”.

Altro aspetto evidenziato da Istat è la perdita di potere di acquisto delle retribuzioni, sceso di due punti percentuali in dieci anni rispetto a un aumento di due punti e mezzo della media Ue-27. C’è quanto basta per riflettere seriamente sul (alto) costo aziendale dei dipendenti, su quanto resta in busta paga, sull’esigenza di ridurre in modo sostanziale il cuneo fiscale (possibilmente non a debito, ma recuperando risorse da un’accurata spending review) e sull’importanza di garantire alle persone stipendi coerenti con l’incremento dei costi che stanno sostenendo per effetto delle tensioni inflative che si stanno scaricando sulle famiglie dalla fine del 2022. La moderazione salariale serve sicuramente a contenere l’inflazione, ma se il potere d’acquisto crolla la domanda interna va a picco. E le nostre aziende non vivono di solo export.

P.S.: Dimenticavo, è abbastanza curioso registrare che “a causa della crescita dei costi aziendali” (così dicono alla reception dell’albergo), il prezzo di una camera doppia a luglio 2023 sia incrementato di 40 euro (60 il venerdì e il sabato) rispetto allo scorso anno. Il tutto a fronte di uno scadimento percepibile del servizio provocato dall’ormai acclarata mancanza di personale. Attendo con ansia che la mano invisibile del mercato faccia la sua parte, ma confesso di cominciare a perdere le speranze.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI