Il residenziale vacanze (affitti brevi ma anche compravendite di seconde case) sta trainando il turismo invernale, un trend che arriva dopo il +10% già registrato la scorsa estate nelle locazioni turistiche. Lo sostiene il recente Report Immobiliare Nazionale Fiaip, presentato alla Camera dei deputati. Lo short term avanza, dunque, accompagnato da aumenti dei canoni anche sensibili (+5%) che soddisfano lo scopo principale degli affitti brevi: la redditività (una media del 7,5%). Una conferma arriva anche dal fatto che nei primi nove mesi del 2023 la percentuale di acquisti di seconde case è aumentata e ha raggiunto l’88,27% delle compravendite complessive. Lo studio della federazione italiana degli agenti immobiliari professionali predice per l’inverno un altro +10% delle locazioni turistiche, ovviamente la maggior parte concentrate in montagna. Le famiglie italiane – indica il report – affittano alloggi in media per una settimana, spendendo tra 900-1500 euro. In aumento gli stranieri, così come accade lungo tutta la filiera dell’hospitality.
Se lo short term prosegue imperterrito la sua scalata, proseguono altrettanto vivaci le polemiche sulla concorrenza sperequata dell’affitto breve rispetto alla ricettività alberghiera. Le ultime mosse hanno visto l’aumento della cedolare secca dal 21% al 26% che il Governo ha inserito nella bozza della Legge di bilancio insieme ad altre nuove norme. Però in Commissione Bilancio del Senato è stato approvato il Codice identificativo nazionale (Cin) per gli affitti turistici o affitti brevi, con le relative sanzioni (fino a 8 mila euro) per chi lo elude, ma è stato limitato l’obbligo di dotare l’immobile affittato dei requisiti di sicurezza (estintori e rilevatori di gas), che spetterà solo ai locatori che gestiscono alloggi in forma imprenditoriale.
Da registrare anche il sequestro di 779 milioni di euro ad Airbnb, accusata di non aver versato la cedolare secca sui canoni di locazione breve corrisposti tra il 2017 e il 2021 dagli ospiti delle strutture ricettive. Una multa salata, ma praticamente non materialmente applicabile, visto il domicilio fiscale del colosso in Irlanda, un quasi paradiso fiscale.
Basta una rapida verifica tra il numero degli alloggi disponibili per affitti brevi presenti sul web e quello dei soggetti che poi ci pagano le tasse. Prendendo ad esempio il Nordest, Federalberghi sostiene vi siano 24.723 gli alloggi presenti su Airbnb in Veneto e 4.216 in Friuli-Venezia Giulia. Grandi numeri ma poca, pochissima corrispondenza con le dichiarazioni dei redditi risultanti al Mef: nel 2022 in Veneto, su un totale di oltre tre milioni di contribuenti, sono stati appena 1.179 quelli che hanno dichiarato redditi da affitti brevi per un gettito totale di 9,6 milioni di euro; nello stesso periodo in Friuli-Venezia Giulia sono stati appena 192 (su un totale di oltre 935 mila contribuenti) i titolari di appartamenti a pagare le tasse sugli affitti turistici per un totale di oltre 1,3 milioni di euro.
Secondo Federalberghi, sono cifre che fanno emergere l’enorme nero generato dal fatto che le piattaforme di intermediazione non applicano il sostituto d’imposta, di fatto lasciando liberi i titolari degli appartamenti di non pagare le tasse. E si presume che l’aumento dell’aliquota non potrà incidere più di tanto sulla situazione.
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