Si ripetono gli attacchi, più o meno velati, più o meno sostenuti da arzigogoli dialettici, contro uno dei segmenti più vivaci dell’industria italiana, anzi, l’unico a registrare performances positive nel panorama non certo positivo dell’economia italiana. Il turismo. Eppure “il turismo evita all’economia italiana dell’estate di scivolare in territorio negativo”, riporta il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, basandosi sulle ultime stime fornite da Istat. Manifattura e industria tra luglio e settembre hanno registrato performances negative pari a -1%; per vedere dinamiche positive, invece, bisogna andare alla voce turismo (alloggi, ristorazione, trasporti, commercio), che segna un +1,5%.
Il turismo invece, per certi commentatori, sembra quasi una cenerentola, che supera tutti con risultati che però sembra diano fastidio, specie a una parte di intellighentia, quella più radical. Un turismo che indispettisce forse perché non deve chiedere niente a nessuno, resiliente di suo, che non si regge sull’export ma che al contrario porta in Italia viaggiatori e valute, che fornisce oltre il 13% del prodotto lordo nazionale e un percorso verso plusvalori in sostenibilità, innovazione, formazione.
Abbiamo chiesto un’opinione in merito a uno dei più importanti operatori del settore, Graziano Debellini, presidente di quel TH Group che (anche grazie al sostegno azionario di Cassa depositi e prestiti) sta affrontando al meglio una moderna trasformazione in prodotto e processo, verso una cultura d’impresa forte in innovazione, digitalizzazione e valorizzazione di brand e capitale umano.
Come si spiega, presidente, questi continui attacchi al turismo italiano?
Le critiche non mancano mai, e sono tanti i convinti che un pensiero laterale strampalato possa comunque galleggiare nel mainstream. Peccato che più che laterale, quel pensiero spesso finisca con l’essere solo un paravento che maschera una profonda ignoranza, spacciata con supponenza per verità chiare solo agli illuminati e ai radical chic.
Quindi è un fenomeno che viaggia tra invidie e stereotipi?
È quanto accade con le fake news e la controcultura che caratterizzano i ragionamenti di parte di pseudoanalisti intellettualoidi che si mettono a disquisire sul turismo, svilendo uno dei più riconosciuti traini odierni del settore produttivo italiano. È vero, non è facile riconoscere la valenza della produzione legata al turismo, perché si tratta di un’industria atipica (ma pesante, visto il Pil garantito che supera il 13% del totale nazionale). Il turismo produce tutto ciò che serve ai bisogni dei viaggiatori, un insieme che comprende la ricettività, la ristorazione, i servizi alla persona, i trasporti e via dicendo: la filiera è estremamente lunga e frastagliata. La produzione turistica, quindi, si concretizza quando e dove viene consumata, non è delocalizzabile, e spesso è limitata a periodi definiti. Ed è sempre legata all’appeal delle location ma anche alle capacità umane di relazione. Un mix difficile, tipico solo di questo comparto, in cui una fragile mistura galenica deve fondersi per fornire al cliente tutto quello che lui si aspetta. E si sa, oggi nessuno vuole viaggiare in terza classe.
Si è parlato recentemente di turismo come arma a doppio taglio, che fa bene all’economia ma non può ergersi a suo motore, come un pericolo per i territori perché quando diventa attività prevalente finisce con l’inaridire il tessuto economico. Insomma, che il turismo è attività poco definibile, voluttuaria, ancillare a qualsiasi produzione d’impresa.
Beh, lo si provi a dire a quei 4 milioni e passa di lavoratori impiegati nelle circa 200 mila imprese che fanno capo al turismo. È chiaro che qualsiasi numero può essere commentato, interpretato, manipolato secondo le diverse finalità, ma i numeri del turismo restano quelli tipici di un’industria forte, in salute, oggi esempio raro nel panorama sconfortante di una manifattura e di altre industrie in affanno. Tanto che alcune imprese del turismo oggi possono guardare a un traguardo non più off limits, ossia la Borsa, finora territorio solo episodico per questo settore. La Borsa quale sbocco naturale anche per costruire un’intelaiatura finanziaria adeguata per i nuovi successi raggiunti e soprattutto per quelli che ci si pone per il prossimo futuro.
Un turismo da primato, insomma?
Non bisogna farne una questione di primato, ma va ribadita la necessità di sfrondare il cespuglio delle maliziose letture del comparto. Il turismo oggi non pretende di insegnare modelli d’impresa, ma di essere considerato alla pari, forte di un percorso intrapreso ormai da anni, fatto di responsabilità, di sostenibilità, di ricerca della qualità e della formazione (se i distratti lo dimenticano, basta solo citare la Scuola italiana di ospitalità creata a Venezia da Cassa depositi e prestiti e TH Group), di nuovi parametri di retribuzione per gli addetti. Come in qualsiasi attività, certo non mancano gli esempi di chi risulta refrattario all’innovazione (soprattutto nelle conduzioni familiari delle attività), ma è indiscutibile il tracciato segnato con la digitalizzazione dei sistemi gestionali, con le revenue management alberghiere, con le nuove economie di scala ottenute con la messa in rete di strutture diverse, con i nuovi contratti. Il lavoro da fare è ancora tanto, ovviamente, e vede in agenda una migliore programmazione dei flussi (in sinergia con le amministrazioni pubbliche), una politica fiscale che agevoli sul serio la creazione delle staff house, indispensabili soprattutto per i lavoratori stagionali da fuori sede, un’incentivazione concreta per la riqualificazione del personale, in una visione che tenga conto delle skill esistenti e di quelle che imporrà la corsa verso qualità sempre più competitive.
Concludendo, un turismo che lavora almeno alla pari con gli altri segmenti dell’industria italiana?
Certo. In uno scenario simile, sempre in divenire, stona sentire ancora parlare (e scrivere) di turismo come impresa accessoria, la cenerentola brava sì, ma vuoi mettere… Il turismo oggi è una grande risorsa resiliente, quella che sta salvando davvero il nostro Pil, e che in futuro saprà certamente regalare risultati ancora maggiori. Con buona pace di quei commentatori radical che si diceva.
(Alberto Beggiolini)
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