Croazia (25%), Cipro (22%), Grecia (21%), Portogallo (19%), Austria, Estonia, Spagna (15%), Italia (13%), Slovenia, Bulgaria (12%), Malta (11%), Francia (10%), Germania (9 %). È l’elenco degli Stati membri dell’Unione europea in ordine decrescente rispetto alla dipendenza (in percentuale di Pil) dal turismo. Un’Europa che nel turismo impiega il 12% dell’intera forza lavoro, e cioè circa 23 milioni di persone, di cui almeno 6 milioni hanno già perso occupazione a causa della pandemia. Un settore falcidiato: la riduzione delle entrate stimata a livello europeo indica -85% per alberghi e ristoranti, -85% per gli operatori turistici, -85% per il trasporto ferroviario su lunga distanza, -90% per navi da crociera e linee aeree. A tutto questo bisogna aggiungere la stima di 0,56 euro generati in valore aggiunto per ogni euro generato dal turismo, un settore che per l’intera Ue (prima destinazione turistica nel mondo) rappresenta il 10% del Pil, con 2 milioni e mezzo di imprese (secondo i dati della Commissione europea).



Nonostante l’ecatombe, l’Italia non ha ancora dichiarato ufficialmente lo stato di crisi del turismo, un passo che consentirebbe di richiedere all’Europa l’attivazione dell’articolo 107 (ex art.87 del TCE) del trattato sul funzionamento dell’Unione, che classifica come “compatibili col mercato interno” gli aiuti “destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali”. In pratica, per salvare il turismo diverrebbe possibile attivare tutte le misure necessarie, al pari dello storico “wathever it takes” di Mario Draghi in difesa dell’euro. Ma lo stato di crisi continua a essere snobbato e demonizzato dal Governo, malgrado praticamente da tutte le rappresentanze di categoria interessate lo si richieda a gran voce. A cominciare da Federalberghi. “Lo abbiamo chiesto, e lo continuiamo a chiedere, ma nessuno sembra badarci” ci dice il presidente Bernabò Bocca. E con lui Massimo Caputi (Federterme), Ernesto Mazzi (Fiavet) e moltissimi altri, compresa Laura Magoni, assessore regionale lombarda al Turismo.



Altro fianco scoperto di tutta la gestione dell’emergenza Covid nel turismo è la mancata chiusura coatta degli alberghi, che anche durante il lockdown totale hanno potuto sempre rimanere aperti. Aperti per nessuno, ovviamente, visto che viaggiatori, stranieri, turisti in genere non avrebbero potuto arrivare neanche volendo. Hotel attivi ma clienti confinati a casa. “Il fatto è che se ci avessero imposto la chiusura – commenta amaro Bocca – avrebbero anche dovuto far fronte ai ristori. Evidentemente hanno pensato bene di lasciarci proseguire l’attività, ben sapendo che avremmo comunque in breve chiuso di nostra volontà, ma senza poter pretendere nulla”. Il “non obbligo a chiudere” sembra insomma una brutta ipocrisia di Stato, culminata a Capodanno, quando i rari ospiti degli hotel sono stati sommamente incentivati dall’obbligo di consumare il loro cenone confinati in camera…



Il risultato di tutto ciò è che a Roma un albergo su quattro non riaprirà più, a Venezia se ne contano 50 in (s)vendita, a Milano almeno altrettanti, il più delle volte prede di fondi speculativi stranieri o semplicemente speculatori di casa nostra, tanto che dal ministero degli Interni è arrivata ai Prefetti una circolare che invita a monitorare la situazione per evitare il rischio di infiltrazioni mafiose. Adesso, con un Governo nascente che si presume sarà basato, al pari del suo Premier, sulle competenze, tutto il settore si sta augurando nuovi approcci (magari anche con l’aiuto dello stato di crisi), con proroghe sui finanziamenti garantiti, esoneri contributivi pluriennali, maggiori risorse riservate all’interno del Recovery Fund. Una riscrittura complessiva, insomma, della considerazione dello Stato per un settore così vasto e strategico per la rinascita dell’intero sistema-Paese.