È risaputo che non bisogna indugiare su stereotipi quali “si stava meglio quando…”, anche perché quasi sempre sono frutto di nostalgie e ricordi sbiaditi dal tempo e quasi mai corrispondono a realtà, anzi. Però…
Però ricordo bene (da diversamente giovane) quando si acquistava un biglietto per un viaggio in treno e si poteva essere certi che anche tutti gli altri passeggeri, almeno quelli che si sarebbero seduti in una carrozza della stessa mia classe, avrebbero pagato la stessa cifra, e questo sia che acquistassero il biglietto all’ultimo momento, sia che lo facessero con mesi d’anticipo (ma forse non si poteva nemmeno anticipare l’acquisto più di tanto). E ricordo che questa uniformità di listino vigeva anche per i viaggi in aereo o in nave e per tutti quei servizi che poco alla volta, anno dopo anno, adesso sono finiti per diventare a costo variabile, succubi di un player tanto impalpabile quanto reale: l’algoritmo. Adesso sembra che le tariffe vengano addirittura modulate sulla base della profilazione dei clienti.
Mi spiego: se dai profili social e dalle tracce di acquisti che si lasciano sul web risulta che si è persona con una discreta capacità di spesa, il biglietto che vado a comprare subirà un altrettanto discreto rialzo. E se mi attacco al pc per comprare un biglietto nel fine settimana sono certo che pagherò di più rispetto a quello che potrei pagare se facessi la medesima operazione di martedì, e possibilmente di notte, che sono i momenti più consigliati per risparmiare.
Sembra incredibile? È l’algoritmo, baby. Che è una parola che ha trovato la sua popolarità solo in tempi recenti, ma che risale al nono secolo, quando un cervellone iracheno la coniò per indicare una “successione di istruzioni per risolvere un problema, cioè per ottenere un preciso risultato a partire da un certo numero di dati iniziali”, come ci precisa Wikipedia.
Ovvio, però, che se quei dati iniziali sono sbagliati, incompleti, equivoci, il meccanismo darà risultati altrettanto sbagliati. Che è esattamente quello che sta capitando, ad esempio, nell’assegnazione delle cattedre d’insegnamento, con molti prof nominati in supplenze inesistenti. La piattaforma specializzata player.it riporta che “chi utilizza algoritmi di LLM, vedi ad esempio ChatGPT e OpenAI, prima o poi si è imbattuto in qualche errore che l’algoritmo ci ha spacciato come verità assodata: una data piuttosto che un’altra, un’assurdità storica o scientifica, o qualche altro strafalcione che nemmeno un bambino si sognerebbe mai di dire. Una notizia recente, ad esempio, viene dall’Australia, dove un sindaco ha minacciato azioni legali dopo aver scoperto che l’algoritmo lo aveva tacciato di corruzione, ovviamente senza riscontri reali. In generale, le panzane promulgate di tanto in tanto dalle Ai possono avere conseguenze gravi, ad esempio qualora si tratti di consigli medici”. È anche emblematico il caso evidenziato per una ricerca sul sito Trenitalia per un viaggio tra Ancona e Roma: le opzioni generate dall’algoritmo (11 volte, su 24 collegamenti orari totali) suggeriscono un tragitto con cambio a Bologna, una tratta con cambio che ha un costo 3-4 volte superiore al diretto Ancona-Roma.
Che gli algo abbiano perso il loro ritmo affascinante è evidente anche dall’introduzione, a livello europeo, del Digital services act, un nuovo regolamento sui servizi digitali, e del DMA, sul mercato digitale, promulgato un anno fa, poi recepito ed entrato in vigore lo scorso agosto. Si tratta di leggi che mirano a creare uno spazio digitale più sicuro in cui siano protetti i diritti fondamentali degli utenti e a garantire condizioni di parità per le imprese. Le norme riguardano principalmente gli intermediari e le piattaforme online, come mercati online, social network, piattaforme di condivisione di contenuti, app store e piattaforme di viaggio e alloggio online. “I servizi online – sostiene la Commissione europea – vengono anche utilizzati in modo improprio da sistemi algoritmici manipolativi per amplificare la diffusione della disinformazione e per altri scopi dannosi. Queste sfide e il modo in cui le piattaforme le affrontano hanno un impatto significativo sui diritti fondamentali online”.
DSA o DMA, comunque, per ora sembrano aver influito solo sulle liturgie della pubblicità, che adesso sul web devono specificare perché ci arrivano determinati spot, ma non ancora sui meccanismi di profilazione e delle strategie di pricing basate su algoritmi o altri meccanismi di intelligenza artificiale. Noi, nella nostra naturale ignoranza, restiamo insomma ancora in balìa di meccanismi che ci indagano, ci scoprono, ci registrano, e ci inondano di conseguenza di contenuti promozionali se non di true lies, le bugie che sembrano vere, le fake news insomma. E vittime inconsapevoli delle discriminazioni algoritmiche sui prezzi.
Morale: mai chiedere al vicino di posto quanto ha speso lui per lo stesso viaggio. Potrebbe essere una scoperta dolorosa.
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