Il capo economista della Banca d’Inghilterra, Huw Pill, ha dichiarato l’altro ieri che “occorre accettare che siamo tutti più poveri”. In particolare “qualcuno deve accettare di essere più povero e smettere di provare a mantenere il potere d’acquisto facendo alzare i prezzi o a seguito di aumenti salariali o passando i costi energetici sui clienti”. Il ragionamento riecheggia anche in Italia con gli appelli a non alimentare una spirale inflattiva con aumenti salariali che neutralizzino gli effetti dell’inflazione.



Le dichiarazioni di Pill sembrano un’operazione “verità” in cui si decide di mettere di fronte al grande pubblico la realtà nuda e cruda senza finzioni. Non più quindi, come alla fine del 2021, mesi e mesi di dichiarazioni sulla transitorietà dell’inflazione, ma finalmente l’ammissione che è cambiato un paradigma e che bisogna smettere di illudersi di poter tornare al punto di partenza dopo un incremento dei prezzi che, per capirci, nel settore degli alimentari è sopra il 20%.



Questa ammissione non spiega però come si sia passati da qualche decennio di inflazione nulla al quadro attuale; come se l’inflazione fosse un fenomeno apparso per magia e arrivato senza che si sappia bene come e perché; come se fosse un temporale estivo.

La rottura è iniziata con le politiche di immissione di liquidità con cui per mesi e mesi si sono “neutralizzati” gli effetti dei lockdown. Il mondo ha chiuso, interi settori si sono fermati e la maggior parte delle persone non solo non si è accorta di niente, ma si è ritrovata con più risparmi di prima. Poi sono arrivate le sanzioni contro la Russia che hanno tolto all’Europa la fonte energetica più economica e stabile. Le guerre commerciali e la rottura delle catene di fornitura hanno rimosso una delle cause che ha contribuito a qualche decennio di prezzi bassi e ha causato il movimento opposto. La transizione green costringe tutti a comprare energia più costosa e non programmabile; interi settori vengono incentivati a investire somme da capogiro in programmi avveniristici che non porteranno risultati prima di molti anni. I costi sono scaricati sulla fiscalità generale e sui prezzi dei beni. L’Unione Europea impone tasse sulla “CO2” entrando nelle tasche dei cittadini e alimentando gli introiti fiscali di Bruxelles.



L’inflazione del 2023 ha cause precise che hanno alcuni tratti in comune. Sono frutto non di calamità naturali ma di deliberate scelte politiche: i “lockdown”, le sanzioni, la transizione verde, giusti o sbagliati che siano, non sono inevitabili. L’altro tratto comune è che in tutti i casi sono state presentate al pubblico come soluzioni indolori e senza costi. Infine, in tutti i casi le conseguenze inflattive non sono un accidente di percorso o una conseguenza che ci sarebbe potuta essere o non essere e che registriamo con rammarico a cose fatte; c’erano tutti gli elementi per immaginare come sarebbe finita.

Infine, per una scelta di comunicazione ben precisa, le cause dell’inflazione non sono spiegate e comunque sono scelte su cui non si può e non si deve discutere. Il caso più eclatante, in questi mesi, è quello della transizione energetica con tutti i suoi annessi fiscali e burocratici. Bisogna chiedersi in questo caso se l’indifferenza o l’accoglienza con cui la transizione viene recepita dal pubblico rimarrebbe tale se fosse chiaro quali sono i costi in termini di “potere d’acquisto”; costi che sono ampiamente prevedibili. Lo stesso si può dire per le altre cause dell’incremento dei prezzi.

Per questo diventa altrettanto necessario, nella narrazione che va per la maggiore, che il potere d’acquisto dei salari debba essere sacrificato per fermare la “spirale inflattiva”. È il paradiso della rendita finanziaria in cui le banche centrali recuperano margini per, eventualmente, un altro giro di creazione di moneta e i governi per un altro esperimento politico. C’è sempre un’emergenza che produce, automaticamente, scelte univoche e, se non ci fosse, quasi bisognerebbe inventarla. Quante volte dopo tutto abbiamo sentito negli ultimi mesi che certi eventi catastrofici in fondo sono stati una “fortuna” che ci ha costretto a comportamenti più “virtuosi”? Una soluzione a questo corto circuito non può non passare da una “operazione verità” onnicomprensiva sulle scelte che sono state fatte e, soprattutto, sul loro costo.

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