Guardato oltre il gossip spiccio del momento, il passaggio di Bianca Berlinguer dalla Rai a Mediaset – primo acquisto di Piersilvio Berlusconi come erede imprenditoriale del padre – suggerisce qualche riflessione politica tout court. Uno sforzo e un abbozzo di “analisi”: ciò che era imperativo categorico ai tempi in cui Enrico Berlinguer guidava il Partito comunista italiano.



Fu negli anni 70 del secolo scorsi che Berlinguer portò a compimento la sua missione di leader politico del maggior partito comunista occidentale: quel “compromesso storico” che ha segnato la storia politica dell’Italia repubblicana come pochissimi altri passaggi (certamente l’avvento del centrosinistra nel 1963, il referendum Segni e la prima vittoria di Silvio Berlusconi nel ’94). Il voto di fiducia al governo Andreotti IV – il primo cui aderì il Pci – fu dato in uno dei giorni più drammatici della storia italiana contemporanea: quello del rapimento di Aldo Moro. E fu tragicamente chiaro già allora quanto “impossibile” fosse – in fondo – la missione che l’erede di Palmiro Togliatti si era assegnata e che decise comunque di portare avanti come e fin dove fu possibile.



In un’Italia ancora “di frontiera” nella Prima guerra fredda, si tentava l’esperimento di una democrazia compiuta: in cui – in prospettiva – competessero i due storici partiti che avevano scritto la Costituzione (il cattolico-democratico e il comunista, divenuto “euro”). Non va dimenticato che il “compromesso storico” maturò dopo nette avanzate elettorali dal Pci a scapito della Dc. Ma l’esito del processo concepito e in parte realizzato da Berlinguer – scomparso precocemente – non fu quello da lui atteso. Rimase invece, nella “repubblica materiale”, un cambiamento che verosimilmente il padre di Bianca Berlinguer non aveva fra le sue priorità e per il quale probabilmente non avrebbe voluto essere ricordato.



La riforma della Rai, varata dopo le elezioni 1976, fu fondativa di un primo “conflitto d’interessi” – quello fra partitocrazia e Tv di Stato, allora in monopolio – che da allora viene immancabilmente evocato a ogni cambio di stagione (politica e quindi in Rai). La “trinità di reti” (con un canale aggiunto per il Pci ai due informalmente controllati da Dc e Psi) nasce allora e da essa si auto-clona a partire dal 1990 nel duopolio con Mediaset. A sua volta, l’ascesa di Silvio Berlusconi come tycoon della tv privata è parallela a quella di Bettino Craxi: inizialmente “guastatore” (poi sconfitto) del compromesso storico fra Pci e Dc.

La seconda repubblica – apparentemente fondata sulla “rupture” berlusconiana e sul conflitto d’interesse televisivo – si rivela tuttavia molto più circoscritta in un nuovo “compromesso storico” che in un reale bipolarismo. La visita di Massimo D’Alema – leader “berlingueriano” dei Ds – a Mediaset alla vigilia delle elezioni 1996 (prima vittoria dell’Ulivo) è subito simbolica della disponibilità reciproca a perpetrare i (molti) “conflitti d’interesse” di entrambi gli schieramenti in un format permanente di “compromesso” fondato sul duopolio Rai-Mediaset. Un baricentro dominante e “sovrano” nel sistema informativo nazionale, infatti, mai messo in discussione da alcuno nel centrosinistra: fosse a Palazzo Chigi Romano Prodi o lo stesso D’Alema, un tecnico come Mario Monti o Mario Draghi oppure Matteo Renzi (apertamente partner di Berlusconi nel “patto del Nazareno”). Per non parlare di Enrico Letta o Paolo Gentiloni: ma neppure Giuseppe Conte – due volte premier para-grillino – si è mai sognato di mettere nel mirino il “compromesso televisivo” strutturale in Italia. Nemmeno la neo-leader del Pd, Elly Schlein, ha mai ceduto alla tentazione di attaccare lo status quo dell’informazione tv in Italia (semmai viceversa: è sembrata salire rapidamente sul treno in corsa).

È assai probabile che né Bianca Berlinguer né Piersilvio Berlusconi abbiano tenuto conto di questo “passato che non passa” nelle loro decisioni: di professionista per l’ex direttore del Tg3, e di imprenditore per il nuovo azionista di controllo di Mediaset. Però è difficile non vedere nel passaggio le radici profonde del conflitto d’interesse fra politica, affari e tv e del “compromesso eterno” come tendenza strutturale.

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