Caro direttore,
mi permetto di aggiungere qualche riga all’intervista del 17 aprile sulla vicenda Musk-Twitter.

Innanzitutto duole notare che le mie pessimistiche previsioni sulla reazione del “sistema” alla lesa maestà prodotta da un elemento esterno al medesimo sistema, quale è Elon Musk, sono state ampiamente superate dalla realtà sia in Europa che in Usa.



Tali reazioni si stanno evolvendo di ora in ora e per il momento si limitano al ridicolo. Ma non ho dubbi che il peggio debba ancora arrivare. Le definisco ridicole per due principali motivi.

1) I democratici Usa hanno un supporto esplicito da parte delle grandi società internet e media con poche e meno rilevanti eccezioni. Se Twitter abbandona la sua esplicita posizione politica di sinistra (caratterizzata da una “content moderation” usata in modo unilaterale), è probabile che la centenaria democrazia americana non verrà travolta e trasformata in una dittatura sudamericana. Lo crediamo fermamente. Anche se Twitter filtrerà un po’ meno contenuti.



2) L’amministrazione Biden aveva promesso in campagna elettorale un giro di vite per regolare i colossi del web, limitare il loro potere e arginare le posizioni di monopolio di fatto sul mercato pubblicitario e sullo sfruttamento delle varie apps (si veda il caso di Apple e Google sotto la lente del DoJ). Elizabeth Warren era stata molto “vocal” e Biden l’aveva assecondata. Proprio Biden, anche qui su suggerimento di Obama, aveva nominato Lisa Kahn, giovane e agguerrita anti-monopolista del settore internet-e-commerce, a capo dell’antitrust. È stata messa a tacere dall’amministrazione stessa. Scomparsa. Perché? Con il disastro della politica economica e la narrativa Covid da gestire in modo “attivo” di fronte alle scelte contraddittorie e strutturalmente fallimentari dell’amministrazione, il filtro e il supporto dei colossi del web diventava cruciale per evitare di dare un eccessivo spazio a posizioni critiche o provocatorie. Traduzione della strategia in lessico di Twitter: “content moderation is needed to limit hate speech and misinformation”.



Cosa succede ora? La Casa Bianca da qualche giorno a questa parte si è  stranamente preoccupata del tema della concentrazione di potere nelle mani di pochi giganti del web. Che sorpresa! Proprio ora qualcuno si preoccupa. Meglio tardi che mai.

In Europa, in mezzo a crescenti contraddizioni sociali, le coalizioni politiche e i governi di minoranza portano avanti politiche orientate al solo mantenimento del controllo della popolazione e del proprio potere: le linee guida comuni su temi chiave vengono decise tra Washington e Bruxelles.

Come in Usa, le stesse grandi piattaforme digitali hanno contribuito a limitare forme di dissenso dalle linee guida. In Italia, per decenni, chi controllava Rai e Corriere aveva il controllo del Paese. Oggi senza  Google non vai da nessuna parte.

E per evitare ulteriore stress ai governi, magari non eletti o di minoranza (o alla Commissione Eu) è stato approvato pochi giorni fa il Digital Services Act. Non è per nulla un attacco ai colossi della Silicon Valley che sostengono il mainstream europeo, ma piuttosto un tentativo di centralizzare le procedure di definizione di misinformation e hate speech. In fondo, ha senso: in una fase di grandissima complessità politica e frammentazione di visioni e di partiti, la circolazione di materiale digitale a rapida diffusione è un grande rischio. Meglio ridurre  la misinformation!

Le affermazioni di Thierry Breton confermano che la leadership comunitaria anche questa volta è riuscita a superare quella americana per senso del ridicolo.

La farsa non ha limiti e siamo all’inizio della vera “tragedia sociale”: con molte celebrities di Hollywood e dello sport che dichiareranno una dopo l’altra di abbandonare la loro tanto amata Twitter. E quindi la vera domanda esistenziale per Twitter e per tutti noi diventerà: “come sarà la vita potenzialmente senza i giornalieri tweets progressisti di Jim Carrey, Tom Hanks e Kathy Perry”? Noi ce la faremo, sono certo. Ma quando le varie Nike, Starbucks, Disney e gran parte dello star system spingeranno per il boicottaggio, Twitter dovrà rifare i conti dei ricavi da pubblicità.

Ah, il deal si fa o no? Ci vorranno 4-5 mesi, immagino, durante i quali Tesla sarà attaccata direttamente. Se Tesla dovesse crollare in borsa, le azioni poste a garanzia del prestito necessario alla scalata dovrebbero essere velocemente monetizzate dalle banche creditrici. Questo è il timore di molti “Elonenthusiasts”. Anche per questo, attaccando Musk-Tesla si attacca Musk-Twitter. Il gioco si fa duro. E Musk è piuttosto duro, per fortuna. E magari diventa anche amico di Peter Thiel…

P.S. Le riporto una vignetta twittata da Elon Musk. Dice molto, quasi tutto.

 

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