Nuova puntata dei “Twitter files“, la saga riguardante il social media di Elon Musk. I documenti interni rivelano la sudditanza al potere politico di Washington, in particolare alle forze vicine ai democratici schierate contro Donald Trump. Inoltre, svengo l’esistenza di strumenti per ridurre la visibilità di tweet di utenti “non allineati” e delle “liste nere” create dai moderatori interni ma in realtà consigliate dall’esterno. I colpi di scena si susseguono perché vengono via via rivelati nuovi documenti. I filoni attualmente sono sei, ma potrebbero spuntarne altri. Ad esempio, c’è la storia del New York Post e dei file sul computer portatile di Hunter Biden, il visibility filtering, la sospensione di alcuni account accusati dai federali di interferenza con le elezioni presidenziali Usa, su richiesta dell’Fbi, l’attacco a Capitol Hill dopo la sconfitta di Trump, la sospensione dell’account di quest’ultimo, la cooperazione tra Twitter e il Pentagono.



A Santo Stefano sono stati diffusi documenti sulla gestione delle informazioni sanitarie durante la prima ondata Covid: molti utenti, tra cui medici e scienziati, sono stati silenziati perché “non allineati” con la linea epidemiologica ufficiale dell’amministrazione Usa. Ad esempio, il vice consigliere generale di Twitter chiese al team di controllo di censurare il tweet con cui Donald Trump aveva invitato gli americani a non lasciare che il Covid dominasse la loro vita.



TWITTER FILES, PRESSIONI PER CENSURARE TRUMP

È stato diffuso anche uno screenshot dell’email con cui l’ex dirigente dell’FBI James Baker, diventato consigliere di Twitter, chiedeva ai vertici di intervenire sul tweet di Donald Trump dopo che era guarito dal Covid. “Non abbiate paura del Covid, non lasciate che domini la vostra vita. Abbiamo sviluppato, sotto l’amministrazione Trump, buoni farmaci e conoscenze. Io mi sento meglio di vent’anni fa“, aveva scritto l’allora presidente Usa dopo le cure al Walter Reed National Military Center di Bethesda, nel Maryland. Baker giustificava la richiesta spiegando che Trump poteva aver violato la policy sulla corretta informazione riguardo la pandemia. L’ex capo del dipartimento di controllo Yoel Roth, invece, sosteneva che l’ottimismo non è disinformazione. “È una dichiarazione ottimista, non incita la gente a fare qualcosa di male, né scoraggia dal prendere precauzioni o dal non indossare la mascherina“. Alla luce di quanto emerso dai Twitter files, i repubblicani hanno annunciato che il nuovo Congresso metterà sotto inchiesta l’attività del consigliere sulla piattaforma, che peraltro nelle scorse settimane è stato licenziato dal proprietario Elon Musk. C’è poi il caso Berenson. Nel giugno 2021, dopo che Biden aveva attaccato i social, accusandoli di “uccidere le persone” per la disinformazione sui vaccini, l’ex giornalista del New York Times Alex Berenson fu prima sospeso e poi cacciato da Twitter, a cui poi ha fatto causa ottenendo il rilascio di comunicazioni interne dell’azienda che dimostrano come la Casa Bianca avesse fatto pressioni per far cancellare l’account.



DAI MEDICI CENSURATI ALLA MODERAZIONE CON I BOT

Ad esempio, Lauren Culbertson Grieco, capo della politica pubblica Usa di Twitter, aveva riportato qualche giorno fa la campagna di pressione della Casa Bianca, spiegando che l’amministrazione Biden era “molto arrabbiata“, in quanto la piattaforma non aveva avviato un’azione più aggressiva nel censurare critici dei vaccini. Tra gli utenti bloccati anche il dottor Martin Kulldorff, epidemiologo che nel marzo 2021 aveva scritto che le persone “con precedenti infezioni naturali non hanno bisogno del vaccino COVID-19, né i bambini“. Il dottor Andrew Boston di Rhode Island fu sospeso a tempo indeterminato dopo aver riportato risultati negativi di studi su vaccini e aver evidenziati dati dai quali emergeva che il Covid era meno pericoloso nei bambini. L’account è stato poi ripristinato a Natale. Non è finita qui: è stato riportato che gran parte della moderazione dei contenuti sul Covid di Twitter era stata condotta da bot “troppo grezzi per un lavoro così delicato” e da appaltatori, ad esempio, delle Filippine, la cui ignoranza a livello scientifico ha causato un “significativo tasso di errori“. Appare evidente, dunque, come la censura sui social non si limiti alla politica in senso stretto…