La nota applicazione Uber Eats, utilizzata per ordinare cibo, lascerà a breve l’Italia. Ad annunciarlo, come si legge stamane sul sito online di Repubblica, è stato l’amministratore delegato della multinazionale, Dara Khosrowshahi, spiegando che l’uscita avverrà anche da Israele. Si tratta di una mossa che si inserisce in una strategia aziendale che vuole Uber Eats competere solo dove riesce ad ottenere delle quote di mercato sufficienti, ed evidentemente l’Italia non era fra le nazioni più profittevoli per la stessa applicazione. Nel nostro Paese, infatti, Uber Eats è dietro a Just Eat e a Glovo, quindi non occupando una delle prime due posizioni come invece prevede la linea aziendale.



Si tratta di un addio all’Italia che ovviamente non sarà indolore visto che comporterà il taglio di 50 posti di lavoro, i dipendenti di Uber che si trovano nella sede centrale. Ovviamente anche i rider ne risentiranno ma questi non sono dipendente dell’azienda di delivery bensì lavoratori autonomi. Con l’uscita dall’Italia, Uber Eats si concentrerà solo su Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania, mentre rimarrà anche in Italia il business dei trasporti in tandem con It Taxi.



UBER EATS LASCIA L’ITALIA: I PRECEDENTI CON LA GIUSTIZIA

La divisione food di Uber era arrivata nello stivale nel 2016, e nel 2020 era finita al centro di un’inchiesta con l’accusa di caporalato, ed era stata quindi commissariata dal tribunale di Milano per aver sfruttato rider e fattorini addetti alle consegne di cibo. Dall’inchiesta condotta dal condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Milano, era emerso che i rider furono “pagati a cottimo 3 euro”, “derubati” delle mance e “puniti” con la decurtazione dei compensi se non stavano alle regole.



Nel 2021 venne quindi condannato con rito abbreviato Giuseppe Moltini, fra i responsabili delle società di intermediazione che arruolavano fattorini per Uber Eats. Ad aprile era arrivata invece la condanna circa l’algoritmo usato per assegnare gli incarichi ai rider, obbligando l’azienda a fornire “le informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”.