Mi è ricapitata recentemente fra le mani la Ballata dal carcere di Reading di Oscar Wilde. E i suoi versi drammatici non hanno potuto non riecheggiarmi in mente quando ho letto il post di Alberto Pastore, il ragazzo che l’altra notte, dalle parti di Novara, ha ucciso a coltellate Yoan Leonardi: “Ho fatto una cazzata per amore”.
Poi, i dettagli non sono chiari: c’è di mezzo una ragazza, Alberto scrive di aver “scoperto troppe cose dal mio miglior amico”. Chissà che cosa c’era in ballo, chissà che cosa si sono detti; ma la sostanza non cambia: per amore di qualcuno, Alberto ha ucciso qualcun altro che pure amava.
E qui veniamo a Oscar Wilde. Per i pochi che non lo sapessero, la Ballata dal carcere di Reading è lo straordinario, tragico poemetto che Wilde, in carcere per omosessualità, compone dopo aver assistito a un’impiccagione. E a un certo punto scrive:
L’uomo aveva ucciso quel che amava
e quindi doveva morire.
Eppure ogni uomo uccide quel che ama,
tutti lo sappiano,
alcuni lo fanno con uno sguardo torvo,
alcuni con una parola lusinghiera,
il vigliacco lo fa con un bacio,
l’uomo coraggioso con la spada!
Lessi per la prima volta la Ballata più di quarant’anni fa, in quinta superiore; e da allora quel verso terribile,“eppure ogni uomo uccide quel che ama”, non mi è più uscito di testa. E quarant’anni di vita non hanno fatto che confermare quelle parole terribili: tutti uccidiamo quel che amiamo. Non c’è bisogno di essere Giuda, per farlo con un bacio: quanti baci spergiuri abbiamo dato. Quanti sguardi torvi, che hanno annichilito quelli che avevamo davanti. Quante parole false, per piegare qualcuno ai nostri disegni. Perché è difficilissimo, amare senza ridurre l’altro all’immagine che ne abbiamo in mente noi. No, non abbiamo ammazzato proprio, in una pozza di sangue, certo: ma com’è facile annientare una donna, un uomo, un figlio. Perché per noi umani è difficilissimo, quasi impossibile, amare senza desiderare di possedere. Possedere l’oggetto amato, farlo nostro, piegarlo alla nostra immagine è già, in un certo senso, ucciderlo. Perché impossessarsi di un essere umano è levargli “Lo maggior don che Dio per sua larghezza/ fesse creando, […] de la volontà la libertate”, come scrive Dante.
Non sappiamo amare senza cercar di possedere. Perché amare è un rischio terribile. Perché l’amore è per sua natura libero, e allora amare vuol dire “essere appesi – è l’espressione che usa Sartre ne L’essere e il nulla – alla libertà dell’altro”. Non siamo capaci di questo rischio, e cerchiamo di impossessarci della libertà dell’altro. E se l’altro se ne va, qualcuno arriva a tirar fuori la spada. O il coltello, che è lo stesso, annota Wilde una strofa più avanti: “i più gentili usano un coltello,/ perché così i morti si raffreddano presto”, cioè muoiono subito, non agonizzano tutta la vita.
C’è solo Uno che è capace di amare senza possedere. C’è solo uno che è capace non di uccidere ma di morire per quelli che ama, anche se lo tradiscono. C’è solo Uno che è capace di scommettere tutto sulla libertà dell’altro, di accettare anche di essere tradito, deriso, abbandonato, senza smettere di amare.
Se ho capito bene, Alberto per amore della sua donna ha ucciso il suo amico. Cambia poco. Ha ucciso perché non ha saputo amare la libertà dell’una e dell’altro. È un miracolo, saper amare davvero, saper amare la libertà dell’altro. È il miracolo che Gesù di Nazaret ha portato sulla terra. È il miracolo che imploro di saper seguire.