C’è da chiedersi quale debito la vita dovesse avere con lui per covare una simile rabbia. Il soggetto di questa storia è un uomo di quarantatré anni, italiano, impegnato in un severo alterco – in un crescendo di tensioni – con un marocchino di ventiquattro anni, accusato di essere l’autore di una rapina ai danni del figlio dell’italiano, rapina avente come bottino un iPhone. I due si scontrano verbalmente una prima volta dopo la denuncia, poi si picchiano, l’italiano è controdenunciato per lesioni, fino al fatale incontro di domenica sera, quando il figlio diciassettenne si sente minacciato dal marocchino, lo riferisce al padre che non esita a salire in macchina e ad andare a cercare per la piccola Imola – luogo della vicenda – il suo antagonista. Lo trova, lo bracca con l’auto, lo stringe al muro, lo uccide. Alla polizia, reo confesso, racconta di non averlo fatto apposta.
Sarà la giustizia ad acclarare la verità dei fatti e delle dinamiche. Restano tuttavia alcune domande, non banali, non secondarie: chi era diventato – per quell’italiano – l’uomo marocchino presunto autore della rapina? Quale ruolo aveva assunto nella sua vita, tanto da esserne ossessionato? A quale rabbia aveva fatto da detonatore? Quali conti in sospeso con l’esistenza aveva con lui riaperto? Che cosa, insomma, rappresentava il rapinatore?
Cerchiamo spesso nella vita reale conferme a ciò che pensiamo, capita non di rado che usiamo le cose che accadono per ribadire nostre profonde convinzioni, come facta probantia direbbero i latini, fatti che mostrano che non ci eravamo sbagliati, che avevamo ragione, che le cose stavano esattamente come avevamo intuiti noi. E così si ritorna alla frase di partenza: c’è da chiedersi quale debito la vita dovesse avere con quell’uomo per covare una simile rabbia pronta a scatenarsi sul primo sconosciuto, reo di comprovare ciò che da sempre si era supposto.
Quali ombre ci devono essere nel cuore dell’uomo per portarlo ad agire così! O forse, più prosaicamente, siamo dinnanzi all’ennesimo folle, all’ennesimo pazzo non capace di intendere e di volere. Forse la rabbia, la solitudine, la stima di sé non c’entrano. Forse è stata tutta follia. Una malattia contagiosa, dicono. Al punto che diventa difficile, in questa notte violenta del mondo, distinguere un folle da un uomo solo, vittima della sua stessa solitudine.