Alla fine (ma manca ancora un grado di giudizio) Alex Pompa, il giovane di Torino che ha ucciso il padre per proteggere la madre e il fratello è stato condannato a sei anni, due mesi e 20 giorni di reclusione, così come richiesto dal pubblico ministero. Gli sono state concesse diverse attenuanti, tra cui quella della provocazione e la seminfermità mentale. La difesa puntava alla conferma dell’assoluzione ottenuta in primo grado, ma dopo l’ordinanza con cui la Corte di Assise di appello aveva investito la Corte Costituzionale in punto di concedibilità della prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti (esclusa per i reati da codice rosso), le speranze erano poche.
Con quel provvedimento i giudici di appello avevano ricostruito i fatti diversamente da come avevano fatto i primi giudici. La Corte di Assise aveva ravvisato la legittima difesa: il ragazzo aveva accoltellato il padre per difendere sé stesso e i congiunti da una possibile aggressione del padre che, infuriato, minacciava di ucciderli e si dirigeva verso la cucina come per prendere un coltello che poteva usare contro di loro. I giudici di appello nella loro ordinanza invece hanno escluso l’applicabilità della legittima difesa perché mancava la prova che il genitore volesse effettivamente armarsi, comunque non aveva ancora afferrato il coltello e mancava la contestualità tra la sola ipotizzabile ingiusta aggressione armata e la necessaria e la giustificabile difesa. La condotta lesiva, hanno ritenuto i giudici di appello, ha travalicato i limiti della reazione difensiva (lui era armato, il padre no), in quanto il giovane poteva difendersi con un’offesa meno grave di quella arrecata (una volta portate le prime coltellate e reso inoffensivo il genitore, poteva fermarsi). Ricorrevano però, a giudizio dei giudici, diverse attenuanti che potevano essere considerate prevalenti rispetto all’aggravante del vincolo familiare, prevalenza che non poteva però essere per legge concessa: da qui il rinvio alla Corte Costituzionale, che ha poi cancellato questo divieto consentendo così alla Corte di diminuire notevolmente la pena.
Giusto o sbagliato condannare un giovane che ha agito al solo fine di difendere sé stesso e i propri familiari dal padre violento? Se è omicidio vero la pena allora non è troppo lieve? Sembra utile dare risalto alle parole della Corte Costituzionale che si è pronunciata sul caso. “Ogni omicidio lede in maniera definitiva la vita umana. E poiché ciascuna persona ha pari dignità rispetto a tutte le altre ogni omicidio parrebbe avere identico disvalore. Eppure da sempre il diritto penale distingue, nell’ambito degli omicidi punibili, tra fatti più o meno gravi”. Altro è l’omicidio di mafia o la brutale uccisione della moglie, altro è l’omicidio come quello di Torino, maturato in condizioni di prolungata e intensa sofferenza. Proprio per calibrare la pena da comminare vi sono le attenuanti, di diversa natura e specie, nel caso specifico la provocazione, la seminfermità e le attenuanti generiche, che hanno lo scopo di riportare la condanna entro parametri di “equità e umana compassione” e tengano conto “dell’improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni subite”.
Se la sentenza sia giusta o no, come detto, lo dirà comunque alla fine la Corte di Cassazione cui l’imputato certamente ricorrerà.
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