Uccise la fidanzata strangolandola per paura di contagiarsi con il Covid, Antonio De Pace in primo grado condannato all’ergastolo potrebbe ora ottenere uno sconto di pena. I giudici della Corte hanno infatti accolto il ricorso degli avvocati che invocavano le attenuanti all’accusa di femminicidio. In particolare quella della poca lucidità nel momento del delitto, indotta dallo stress da lockdown e dal terrore della pandemia. Anche considerato che il fatto è avvenuto nella prima fase dell’emergenza coronavirus, cioè a marzo del 2020.



L’infermiere 32enne era stato trovato in stato di confusione nella sua abitazione all’interno della quale si era consumato il delitto. Secondo quanto emerso dal processo, avrebbe detto ai Carabinieri intervenuti per arrestarlo, di aver agito perchè terrorizzato dalla possibilità di poter essere infettato dal virus. Tuttavia nella prima sentenza i giudici non ritennero valida l’infermità mentale presentata dai legali di De Pace, stabilendo che l’imputato aveva agito nel pieno possesso della lucidità, grazie anche alla ricostruzione delle ultime ore dei due fidanzati.



Uccise la fidanzata durante il lockdown, Corte concede processo bis a Antonio De Pace, le attenuanti: “Ha agito sotto stress da pandemia”

Antonio De Pace, condannato all’ergastolo perchè uccise la fidanzata Lorena Quaranta, strangolandola in casa durante la prima fase della pandemia nel 2020, ha ottenuto la possibilità di ottenere uno sconto di pena grazie alle attenuanti presentate dai suoi avvocati nel ricorso. La Corte ora al processo bis dovrà esaminare lo stato mentale dell’imputato, che secondo i legali era stato compromesso a causa di alcune fobie e disturbi della personalità causati proprio dalle restrizioni come il lockdown. Uno stress da Covid che avrebbe fatto agire l’uomo in un’impeto aggressivo scaturito dal terrore del contagio.



L’accusa di femminicidio quindi potrebbe essere ridimensionata, facendo evitare a De Pace il carcere a vita. Nelle motivazioni del ricorso per infermità mentale ci sarebbero anche testimonianze telefoniche, secondo le quali l’infermiere era già turbato e aveva sviluppato problemi psichici già prima del delitto. Dalle indagini infatti era emerso che avesse detto più volte alla fidanzata tramite messaggi che qualcuno lo seguiva per picchiarlo ed ucciderlo, per giustificare l’interruzione della convivenza durante il lockdown.